A cura del dott. Vincenzo Scannapieco
Nell’ultimo anno, avendo rivisto con attenzione molta letteratura concernente le basi scientifiche delle vaccinazioni di massa, ho letto con interesse alcuni lavori del Gruppo di Ricerca sui Vaccini della famosa Mayo Clinic nel Minnesota, diretto dal dott. Gregory Poland. Si tratta di un gruppo di ricerca di alto livello, il dott. Poland è autore o coautore di circa 450 articoli sul tema, reperibili su PubMed; è inoltre editore della rivista Vaccine e consulente per la casa farmaceutica Merk per la sicurezza dei vaccini, oltre ad avere alcuni brevetti sul vaccino anti-morbillo.
Già nel 2007, il dott. Poland e i suoi collaboratori hanno coniato i termini “Vaccinomica” e “Avversomica”, per indicare il ruolo dell’immunogenetica e dell’immunogenomica nel determinare sia le variazioni interindividuali nella risposta ai vaccini sia le reazioni avverse agli stessi. Tutto questo per poter entrare in una nuova fase della vaccinologia moderna, appunto “personalizzata”. Si tratta di determinare il ruolo del bagaglio genetico del singolo individuo, del sesso e di tutti gli altri fattori che possono avere un impatto sull’immunogenicità, sull’efficacia e sulla sicurezza dei vaccini [1, 2].
Negli anni seguenti, il dott. Poland ha continuato a pubblicare molti studi concernenti soprattutto i vaccini a virus vivi attenuati (morbillo, rosolia, parotite, influenza) e alcuni lavori di revisione della letteratura concernente la “personalizzazione” della pratica vaccinale [3-6]. Nel luglio 2017, è stato pubblicato (inizialmente in formato elettronico) l’articolo Personalized vaccinolgy: A review [7], in cui gli autori (Poland, Ovsyannikova e Kennedy) sottolineano ulteriormente la necessità di un netto cambio di paradigma nella pratica vaccinale, che vada appunto nella direzione della personalizzazione della stessa. Gli stessi concetti il dott. Poland li aveva espressi nel febbraio 2017 in una conferenza nazionale americana del NVAC (National Vaccine Advisory Committee: Comitato Consultivo Nazionale sui Vaccini), in una presentazione intitolata The Case for Personalized Vaccinology in the 21st Century, i cui contenuti sono scaricabili dal sito del Dipartimento di Stato americano sui Servizi Sociali e della Salute: www.hhs.gov [8].
Il contesto che fa da sfondo a questa necessità di cambiamento è un clima sociale e culturale “avverso al rischio” nei confronti dei vaccini, per cui vengono richiesti livelli di sicurezza estremamente elevati. Del resto, si tratta di un intervento medico preventivo e non terapeutico, intervento rivolto ad individui (più spesso bambini) sani e non malati, per cui è necessario pretendere un elevato livello di sicurezza. Storicamente, afferma il dott. Poland, lo sviluppo dei vaccini è stato largamente empirico, guidato da un paradigma “isolare-inattivare-iniettare” lo stesso vaccino alla stessa dose per tutti, ma questo approccio “one-size-fits-all” [la “stessa-misura-per-tutti”] “IGNORA LA COMPLESSITA’ E LA DIVERSITA’ DEL SISTEMA IMMUNITARIO UMANO E DEL GENOMA DELL’OSPITE” [enfasi mia]. E quindi lo scopo di queste nuove branche di ricerca è quello di identificare specifici profili di risposta immunitaria, “firme-immunitarie” e biomarcatori che possano predirre per il singolo individuo la sicurezza e l’efficacia dei vaccini, per poter dare “il giusto vaccino, alla persona giusta, alla giusta dose e al momento giusto … in altre parole: Vaccinologia Personalizzata” [8].
Il paradigma della pratica vaccinale degli ultimi sessant’anni è stato basato sul considerare “tutti a rischio per tutto” e quindi a dare “a ognuno tutti [i vaccini disponibili]”, ovvero un approccio di salute pubblica rivolto a livello di popolazione e non del singolo individuo, utilizzando quasi esclusivamente la via di somministrazione parenterale. Questo paradigma, afferma il dott. Poland, ha fallito nel raggiungere l’obiettivo di indurre risposte immunitarie protettive nel 100% della popolazione, e questo a motivo della variabilità dei patogeni ma soprattutto della variabilità di risposta del sistema immunitario umano nei singoli individui e dalla mancanza di variabilità (vie di somministrazione, dosi) nel come vengono somministrati i vaccini. E’ invece necessario stratificare il rischio dei singoli e personalizzare l’approccio alla vaccinazione.
Si tratta di studiare non solo i geni della risposta immune direttamente coinvolti nelle risposte ai vaccini (geni che codificano per la produzione di anticorpi, di recettori delle cellule T, del sistema HLA), ma anche nuovi geni che possano indirettamente influenzare tale risposta (ad esempio i geni che codificano per la produzione di citochine e dei loro recettori). Importante anche il ruolo dell’epigenetica (cioè tutti quei fattori – ad es. nutrizionali o ambientali – che possono modulare l’espressione genica) e del microbioma intestinale [5]. Già sono stati pubblicati molti studi che analizzano l’influenza delle variazioni genetiche sulla risposta immunitaria di tipo adattivo (umorale e cellulare) indotta dai vaccini, ad esempio quelli contro epatite B, rosolia, influenza A, vaiolo, antrace e parotite [9].
Poland e il suo gruppo hanno ad esempio dimostrato che circa il 30% della variabilità della risposta umorale al vaccino MPR è associata a polimorfismi dei geni della risposta immune e ai sottotipi HLA [10]. Altro filone di ricerca è quello riguardante i geni dei recettori “Toll-like” (TLR), i cui polimorfismi influenzano la risposta umorale ai vaccini contro morbillo, rosolia e parotite.
Questi sono indubbiamente studi molto complessi, che si addentrano nei meccanismi più sottili e sofisticati della risposta immune in generale e ai vaccini in particolare. Esistono però anche dei fattori per così dire di primo livello che influenzano e causano estrema variabilità nella risposta immunitaria ai vaccini, ovvero il sesso, l’età e il peso corporeo. Il dott. Poland e coautori affermano chiaramente che è comprovata una diversa risposta umorale e cellulare ai vaccini in base al sesso, e inoltre anche le reazioni avverse locali e sistemiche ai vaccini sono in genere più frequenti nel sesso femminile e questo in tutte le fasce d’età, escludendo quindi il ruolo predominante di fattori ormonali [11, 12]. Poco si sa però su quali possano essere i fattori genetici che spieghino tali differenze di risposta immune tra maschi e femmine, differenze sulle quali c’è comunque un’ “evidenza significativa” e che in generale non sono state considerate negli studi sull’efficacia e la tollerabilità dei vaccini. Questo tipo di studi dovrebbe essere invece una priorità nel campo della ricerca sui vaccini. Ci sono alcuni dati sul ruolo di un “cluster” di geni coinvolti con il metabolismo lipidico (biosintesi regolata dal testosterone) nello spiegare le differenze di risposta umorale ai vaccini tra uomini e donne, ma si tratta di studi preliminari. Gli autori auspicano comunque uno scenario futuro in cui “maschi e femmine potranno essere vaccinati differentemente usando dosi diverse o vaccini diversi” per poter dare un simile livello di protezione riducendo il rischio di effetti collaterali. Le femmine hanno “quasi sempre risposte immunitarie umorali superiori rispetto ai maschi per tutti i vaccini studiati, ma sperimentano anche più effetti collaterali: più eventi avversi, di maggior durata e di maggior intensità” [7].
Altri fattori da considerare sono l’invecchiamento e l’“immunosenescenza”, che può essere definita come una disregolazione del sistema immunitario legata all’età, per modificazioni delle componenti del sistema immunitario innato ed adattivo, e questo provoca ridotta risposta protettiva ai vaccini e risposta immunitaria inadeguata alle infezioni. Non sono in effetti ancora chiari i meccanismi di questa ridotta risposta immunitaria nell’anziano; sappiamo che c’è un’alterata secrezione di citochine, una ridotta attività cellulare natural-killer, una ridotta espressione di TLR e uno stato di infiammazione cronica con aumento di IL-1B, TNF-alfa e IL-6 sierica, definito “inflamm-aging”. Tutto ciò rappresenta una grossa sfida nel produrre vaccini che siano realmente efficaci anche nella popolazione anziana. Gli studi di biologia sistemica, la vaccinogenomica, la valutazione di pathway immunitari e infiammatori con l’analisi dei profili citochinici già stanno dando dei risultati nel predirre la risposta anticorpale ad esempio verso il vaccino per l’epatite B, che in generale è meno efficace nell’anziano [13].
Anche sovrappeso e obesità sono fattori predittivi di alterata immunogenicità (ovvero ridotta risposta anticorpale) ad esempio ai vaccini per epatite B, influenza, tetano, tanto da poter essere considerata un marker di immunosoppressione. Potrebbe essere in gioco il meccanismo di aumentata resistenza alla leptina (tipico dell’obesità), che sembra influenzare negativamente la risposta immunitaria: ridotta attivazione di cellule T CD8+ con ridotta produzione di IFN-gamma alla vaccinazione anti-influenzale negli obesi, per i quali quindi la vaccinazione sembra meno efficace [14, 15].
Come già detto, il dott. Poland e i suoi collaboratori hanno anche coniato il termine “Avversomica”, ovvero lo studio di fattori genetici per identificare, caratterizzare e prevedere le reazioni avverse o le reazioni immunitarie abnormi (disadattative) ai vaccini, reazioni che quindi – seppur rare – non vengono né negate né sminuite [16]. Anzi, gli autori affermano chiaramente che sia loro che altri scienziati si sono posti la domanda: “ha senso nel 21° secolo dare lo stesso vaccino, la stessa dose e alla stessa frequenza a tutti, a prescindere da età, peso, genere, razza, genotipo e condizioni mediche associate?” [7, enfasi mia]. Si tratta di un settore di ricerca nuovo, ma si è già dimostrata un’associazione tra specifici geni o polimorfimsi a singolo nucleotide (SNP) ed eventi immuni avversi, ad esempio per le convulsioni febbrili da vaccino MPR.
Nel parlare poi delle sfide che dovranno affrontare i ricercatori “vaccinologi”, oltre all’immuno-senescenza legata all’invecchiamento della popolazione, alle differenze tra i sessi e alla sempre maggior prevalenza di sovrappeso e obesità – il dott. Poland cita anche “l’inadeguata comprensione del sistema immunitario del neonato e del bambino piccolo”, affermando chiaramente che “i neonati e i bambini piccoli hanno sistemi immunitari che non sono ancora pienamente sviluppati e che rispondono alle infezioni e alle vaccinazioni in modo diverso dagli adulti” [17, 18-19]. Inoltre, un dato interessante è che vaccini che hanno meccanismi d’azione diversi possono aver bisogno di un diverso tipo di “correlato di efficacia” rispetto a fattori umorali (ovvero il titolo anticorpale generato), proprio perché a volte sono in gioco meccanismi immunitari di tipo cellulo-mediato. Il dott. Poland afferma chiaramente che, “malgrado il successo dei primi vaccini, ancora non comprendiamo pienamente, a un livello meccanicistico, le leggi che governano l’immunogenicità e lo sviluppo di una immunità protettiva” [17].
L’uso della tecnologia ricombinante e di nuovi adiuvanti ha fatto compiere dei passi avanti alla scienza vaccinale, ma anche questo nuovo paradigma (che Poland definisce “vaccinologia 2.0”, rispetto al primo paradigma empirico “Isolare-Inattivare-Iniettare”) è limitato dalla “nostra comprensione incompleta del meccanismo d’azione degli adiuvanti e dell’immunità innata”. L’applicazione delle nuove moderne tecnologie genetiche e di ricerca alla pratica vaccinale potrebbe però far temere un aumento dei costi insostenibile, ma il dott. Poland e coautori prefigurano una nuova era, che definiscono “vaccinologia 3.0” o appunto vaccinologia personalizzata, in cui l’uso della genomica e di approcci sistemici permetterà di poter fornire “il giusto vaccino al dato paziente, per giusti motivi e alla giusta dose”, con un miglioramento degli outcome medici e costi ridotti a livello di popolazione [7].
Il dott. Poland afferma di credere – insieme a molti altri scienziati – che questo approccio di vaccinologia personalizzata rivoluzionerà tale scienza a beneficio della salute umana. Potremo arrivare a individuare “firme immunitarie molecolari” di risposta immunitaria adattiva (appropriata) o disadattiva (abnorme) ai vaccini, e “identificare chi dovrebbe ricevere quale vaccino e a quale dose”, riducendo il rischio di reazioni avverse gravi e quindi aumentando la sicurezza dei vaccini e la fiducia delle persone verso la pratica vaccinale [8].
Ma viene percepita anche la difficoltà di abbandonare il paradigma sviluppatosi nel secondo dopoguerra e basato sul concetto di vaccinare le popolazioni con “una dose di ogni vaccino per tutti”, per passare ad un approccio individualizzato e personalizzato, basato su fattori specifici per ogni individuo. Nell’articolo [7] viene citato un filosofo della scienza, Thomas Khun, per cercare di spiegare questa resistenza ai cambi di paradigmi scientifici, ovvero al progresso della scienza. Nel libro The Structure of Scientific Revolution (La struttura della rivoluzione scientifica), tale autore afferma che “crediamo erroneamente che il progresso scientifico sia un processo di crescita lineare della conoscenza”, mentre “gli avanzamenti si realizzano quando rigettiamo una teoria scientifica radicata nel tempo a favore di un’altra ad essa incompatibile”. Gli autori dell’articolo non ne parlano, ma viene però spontaneo chiedersi se le resistenze al cambio di paradigma siano più di carattere scientifico quanto di carattere economico, di marketing: molto più redditizio produrre un “unico” tipo di “prodotto” e proporlo (o imporlo) a tutta la popolazione, rispetto a produrre più tipi di “farmaci” (per la cura o prevenzione di una certa malattia) e selezionare chi necessita veramente di riceverli.
Vaccinologia personalizzata non significa in effetti sviluppare vaccini singoli per i singoli individui, (questa peraltro è una “tattica” che viene usata nel campo della ricerca per i vaccini anti-cancro), ma sviluppare specifici vaccini per sottogruppi di popolazione che tengano conto di quei fattori correlati a superare il problema della bassa immunogenicità e il problema delle reazioni avverse. Il dott. Poland fa l’esempio dei vaccini antinfluenzali: circa dieci anni fa, era disponibile solo un vaccino trivalente iniettabile, oggi perlomeno nel mercato americano ce ne sono nove, tra cui un vaccino quadrivalente, uno a virus vivo attenuato per i più giovani, un vaccino ricombinante per gli allergici alle proteine dell’uovo, vaccino ad alta dose o con l’adiuvante MF59, più immunogenici ed efficaci [8].
E’ quindi già in atto il passaggio ad un nuovo paradigma di pratica vaccinale, di tipo personalizzato, basato su nuove conoscenze scientifiche, su considerazioni di sicurezza ed efficacia e sulle recenti tendenze di salute pubblica (invecchiamento, obesità). Secondo Poland e coautori, questo approccio aumenterà la fiducia delle popolazioni, con aumentata immunogenicità e minori eventi avversi, e quindi una maggior copertura vaccinale generale. Essi prefigurano quindi una nuova era di “Vaccinologia Predittiva”, nella quale verrà abbandonato l’approccio “one-size-fits-all” e sarà possibile “prevedere per ogni individuo se dare un vaccino in base alla probabilità di risposta (e forse anche in base all’effettiva necessità) e alla probabilità di significativi eventi avversi al vaccino; prevedere il numero di dosi necessarie per ottenere un appropriata risposta immune” [enfasi mia]. Alla base di questo nuovo approccio scientifico c’è l’integrazione delle nuove conoscenze su genoma, trascrittoma, proteoma, metaboloma, microbioma e immunoma, oltre alla valutazione di plurimi indicatori della funzione immunitaria. I nuovi vaccini verranno “adattati” a specifici sottogruppi di persone, in modo da “evocare una risposta immunitaria solida e protettiva a prescindere da età, peso, sesso e in modo da evitare risposte immuni inappropriate legate a fattori genetici, metabolici, di razza o di genere, a malnutrizione o immunosoppressione o altri fattori o condizioni cliniche della persona” [7].
Si tratta di considerazioni molto “forti”, che sembrano elevare la discussione sulla pratica vaccinale a livelli decisamente superiori rispetto a quanto abbiamo sentito nell’ultimo anno nel nostro paese, in conseguenza del DL sull’obbligatorietà vaccinale poi trasformato in legge. Discussione di tipo dicotomico, bianco o nero: o pro-vax o anti-vax. Sembrano invece esserci fondati motivi scientifici per puntare alla personalizzazione della pratica vaccinale, perlomeno nei paesi evoluti, con elevati standard igienico-sanitari, per aumentare l’efficacia dei vaccini e ridurre ulteriormente il rischio di reazioni avverse. Mi chiedo quindi se non possiamo parafrasare il pensiero del dott. Poland dicendo: “non vacciniamo più le masse indiscriminatamente ma selezioniamo chi vaccinare, come e quando vaccinare e usiamo una nuova generazione di vaccini più mirati e più sicuri”.
Qualche considerazione finale dopo aver letto i lavori del gruppo di ricerca della Mayo Clinic: sembra proprio che la scienza “alta”, quella con la S maiuscola, che non si arrocca su posizioni difensive, che non è arrogante e “non democratica”, che non vuole imporre la proprie conclusioni con la coercizione legislativa, quella scienza che non ha paura di esplorare nuovi filoni di ricerca e mettere in discussione pratiche mediche consolidate nel tempo ma ormai “datate” alla luce delle nuove conoscenze scientifiche (in questo caso la vaccinazione indiscriminata delle masse, senza tener alcun conto delle molteplici variabili individuali e delle moderne conoscenze sul funzionamento del sistema immunitario), ebbene sembra proprio che questa scienza “alta” non sia poi così distante dalle posizioni di quei medici italiani, di cui due sono stati addirittura radiati dall’Ordine, che due anni fa hanno espresso – partendo da considerazioni cliniche e osservazionali oltre che da dati di letteratura – perplessità sulle vaccinazioni di massa dei bambini, auspicando un approccio più “personalizzato”. La scienza medica moderna sta andando sempre più verso la personalizzazione delle cure; un giorno forse si siederà ad un tavolo per “dialogare” (nel significato etimologico di “discorso alterno tra due o più persone”) con quei medici che auspicavano e auspicano ancora proprio tale personalizzazione riguardo ai vaccini?
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