Era da un po’ che non si vedevano in azione gli idranti, francamente speravamo che dopo la macelleria sudamericana al G8 di Genova certe scene non le avremmo più riviste. Quei furenti getti di acqua gelata che nel primo mattino di un sabato hanno investito il pacifico presidio al porto di Trieste ci hanno improvvisamente svelato la natura repressiva e violenta dell’azione governativa. Chi manifestava lo faceva per affermare diritti addirittura prepolitici: poter lavorare, muoversi liberamente, partecipare alla vita sociale e culturale. Diritti negati non a chi viola una legge, ma a chi fa un atto perfettamente legittimo come il non volersi sottoporre a un vaccino non obbligatorio. In quei getti d’acqua c’è la prova che in gioco c’è molto di più che un problema di ordine pubblico, Come hanno scritto sia il New York Times che il Washington Post in Italia si sta svolgendo un esperimento sociale per valutare fino a quanto la popolazione può reggere misure restrittive e fortemente limitative delle libertà.

Se il progetto italiano funzionerà, potrà fungere da modello per altri Stati.

Del resto l’enorme macchina burocratica e tecnologica messa in piedi per il GP temiamo fortemente che potrà essere utilizzata per forme di controllo sempre più stringenti del corpo sociale. Per questo è necessario tacitare ogni dissenso con qualunque mezzo.

Ecco perché dietro quel violento getto d’acqua e le cariche della polizia numerosi sono stati i mandanti: stampa, tv e virologi impegnati in una martellante e aggressiva campagna di diffamazione contro chiunque metta in dubbio la versione ufficiale; i politici e le loro apodittiche dichiarazioni (Draghi: “chi non si vaccina muore e fa morire”, Mattarella: “chi non si vaccina limita la libertà degli altri”); il clima creato nel Paese dopo l’assalto alla sede CGIL (e qui andrebbe ricordato l’assurdo comportamento delle forze dell’ordine che lascia in campo molti e giustificati sospetti).

Indicare al popolo il nemico è uno strumento necessario perché la lotta alle epidemie si trasformi in un controllo sempre maggiore dei cittadini. Meccanismo ben noto sin dal tardo Medioevo, come scrivono Naphy e Spicer in La peste in Europa:

“Dalla culla alla tomba, lo Stato cominciò a ispezionare, registrare e controllare numerosi aspetti della vita ordinaria. La peste non fu controllata, ma la società sì; la sanità divenne un alibi dell’ordine”.

Nulla di nuovo, ma allora non c’erano green pass e idranti.