Liberamente tratto dall’articolo del dott. Marc Lipsitch (epidemiologo e specialista in malattie infettive) apparso il 13 aprile 2020 sul New York Times1.
Anche in base a questa domanda vengono prese decisioni con grandi conseguenze, purtroppo ci si basa solo su barlumi di dati.
Tra le molte incertezze che rimangono su Covid-19 vi è il modo in cui il sistema immunitario umano risponde alle infezioni e ciò che questa risposta significa per la diffusione della malattia. L’immunità dopo qualsiasi infezione può variare da quasi inesistente a immunità a vita. Ovviamente per quanto riguarda l’immunità a SARS-CoV-2, il coronavirus che causa Covid-19, i dati disponibili sono solo parziali.
Cosa possono fare gli scienziati e i politici che fanno affidamento sulla scienza per prendere decisioni obiettive in una situazione del genere? L’approccio migliore è quello di costruire un modello concettuale – una serie di ipotesi su come potrebbe funzionare l’immunità – sulla base delle attuali conoscenze del sistema immunitario e delle informazioni sul virus e quindi identificare quale aspetto di quel modello potrebbe essere sbagliato e conoscere quali siano le implicazioni di ciò. Successivamente, gli scienziati dovrebbero iniziare a lavorare per migliorare questa comprensione con l’osservazione e l’esperimento.
Lo scenario ideale – cioè quello in cui una volta infetta una persona diviene completamente immune a vita – è noto per alcune infezioni come ad esempio per il morbillo. Il medico danese Peter Panum lo ha scoperto quando ha visitato le Isole Faroe2,3, (tra Scozia e Islanda) durante un focolaio nel 1846 e ha osservato che i residenti di età superiore ai 65 anni, che avevano vissuto un precedente focolaio nel 1781, erano protetti. Questa sorprendente osservazione ha contribuito a lanciare i campi dell’immunologia e dell’epidemiologia – e da allora, come in molte altre discipline, la comunità scientifica ha imparato che spesso le cose sono più complicate di come appaiono. Un esempio di “più complicato” è l’immunità ai coronavirus, un folto gruppo di virus che a volte passa dagli ospiti animali agli umani: SARS-CoV-2 è la terza maggiore epidemia di coronavirus che colpisce gli umani negli ultimi tempi, dopo lo scoppio della SARS del 2002 e l’epidemia di MERS4 iniziata nel 2012.
Gran parte della nostra comprensione dell’immunità al coronavirus non proviene dalla SARS o dalla MERS, che hanno infettato un numero relativamente esiguo di persone, ma dai coronavirus che si diffondono ogni anno causando infezioni respiratorie che vanno dal comune raffreddore alla polmonite. In due studi separati, i ricercatori hanno infettato i volontari umani con un coronavirus stagionale e circa un anno dopo li hanno inoculati con lo stesso virus per osservare se avevano acquisito l’immunità.
Nel primo studio5 i ricercatori hanno selezionato 18 volontari che hanno sviluppato il raffreddore dopo che è stato loro inoculato un ceppo di coronavirus nel 1977 o 1978. Sei dei soggetti sono stati nuovamente inoculati un anno dopo con stesso ceppo e nessuno ha mostrato sintomi di infezione, presumibilmente grazie alla protezione acquisita con la risposta immunitaria alla prima infezione. Gli altri 12 volontari sono stati esposti a un ceppo leggermente diverso di coronavirus un anno dopo, e la loro protezione è risultata solo parziale.
In un altro studio pubblicato nel 19906, 15 volontari sono stati inoculati con un coronavirus; 10 sono stati infettati, 14 sono tornati per un’altra inoculazione con lo stesso ceppo un anno dopo: hanno mostrato sintomi meno gravi e il loro corpo ha prodotto meno virus rispetto al contatto iniziale, specialmente coloro i quali avevano mostrato una risposta immunitaria robusta la prima volta.
Per studiare l’immunità alla SARS e alla MERS non sono stati condotti, data la gravità delle patologie in oggetto, esperimenti di questo genere ma le misurazioni degli anticorpi nel sangue delle persone sopravvissute a tali infezioni suggeriscono che le loro difese persistano per qualche tempo: due anni per la SARS, secondo uno studio7, e quasi tre anni per la MERS, secondo un altro8. Tuttavia, la capacità di questi anticorpi di inibire la replicazione virale appare precocemente in declino, già durante i periodi di studio.
Questi studi costituiscono la base per un’ipotesi plausibile su ciò che potrebbe accadere con i pazienti Covid-19. Dopo essere stata infettata da SARS-CoV-2, la maggior parte degli individui avrà una risposta immunitaria, alcuni meglio di altri. Si può presumere che tale risposta offrirà una certa protezione a medio termine – almeno un anno – ma in seguito la sua efficacia potrebbe diminuire.
Altre prove supportano questo modello. Un recente studio peer-review9 condotto da un team dell’Università Erasmus, nei Paesi Bassi, ha pubblicato i dati di 12 pazienti che dimostrano di aver sviluppato anticorpi dopo l’infezione da SARS-CoV-2. Migliaia di casi stagionali di coronavirus negli Stati Uniti sono stati analizzati10 statisticamente utilizzando un modello matematico da cui si desume che l’immunità nell’arco di un anno circa è probabile per i due coronavirus stagionali più strettamente correlati al SARS-CoV-2, fornendo forse un’indicazione su come potrebbe comportarsi l’immunità al SARS-CoV-2 stesso.
Se è vero che l’infezione crea immunità nella maggior parte o in tutti gli individui e che la protezione dura un anno o più, l’infezione di un numero crescente di persone in una determinata popolazione porterà via via alla costruzione della cosiddetta immunità di gregge. Man mano che sempre più persone diventano immuni al virus, un individuo infetto avrà sempre meno possibilità di entrare in contatto con una persona suscettibile all’infezione. Ad un certo punto l’immunità di gregge diverrà sufficientemente pervasiva da far sì che un individuo infetto, in media, potrà contagiare meno di una persona, e a quel punto il numero di casi inizierà a diminuire (vedi la simulazione11). Se l’immunità del gregge sarà abbastanza diffusa, allora anche in assenza di misure progettate per rallentare la trasmissione, il virus sarà contenuto – almeno fino a quando l’immunità stessa non diminuirà o finché non nasceranno abbastanza nuove persone suscettibili.
Al momento, i casi di Covid-19 sono stati sottostimati a causa del limitato numero di test, forse anche di un fattore 10 in alcuni luoghi, come in Italia alla fine del mese scorso12. Se la sottostima è intorno a questo livello anche in altri paesi, allora la maggior parte della popolazione del mondo è ancora suscettibile alle infezioni e l’immunità di gregge è un fenomeno minoritario in questo momento. Il controllo a lungo termine del virus dipende dal fatto che la maggior parte delle persone diventi immune, attraverso l’infezione e la guarigione o attraverso la vaccinazione – quanto vasta debba essere questa proporzione di persone dipende ancora da altri parametri dell’infezione che rimangono tutt’oggi sconosciuti.
Una preoccupazione riguarda la possibilità di reinfezione. I Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie della Corea del Sud hanno recentemente riferito che 91 pazienti che erano stati infettati con SARS-CoV-2 e che poi erano risultati negativi per il virus, si sono rivelati in seguito nuovamente positivi13. Se alcuni di questi casi fossero effettivamente reinfezioni, metterebbero in dubbio la forza dell’immunità che tali pazienti avevano sviluppato.
Una possibilità alternativa, che molti scienziati ritengono sia più probabile, è che questi pazienti abbiano avuto un falso negativo al test nel mezzo di un’infezione in corso, oppure che l’infezione si fosse temporaneamente attenuata e poi riemersa. Il Centro di Controllo delle malattie della Corea del Sud sta ora lavorando per valutare il merito di tutte queste spiegazioni. Come con altre malattie per le quali può essere difficile distinguere una nuova infezione da una riacutizzazione di una vecchia infezione – come per la tubercolosi – il problema potrebbe essere risolto confrontando la sequenza del genoma virale tra il primo e il secondo periodo di infezione. Per ora, è ragionevole supporre che solo una minoranza della popolazione mondiale sia immune alla SARS-CoV-2, anche nelle aree colpite duramente. Come potrebbe evolversi questo quadro provvisorio con l’arrivo di dati migliori? I primi indizi suggeriscono che potrebbe cambiare in entrambe le direzioni.
È possibile che si siano verificati molti più casi di Covid-19 rispetto a quanto riportato, anche tenendo conto del numero limitato di test effettuati. Uno studio recente14 (non ancora sottoposto a revisione paritaria) suggerisce che negli Stati Uniti il numero reale di casi, anziché 10 volte maggiore di quelli ufficialmente rilevati, possa essere 100 volte o addirittura 1.000 volte maggiore. Questa stima è un’inferenza indiretta da correlazioni statistiche; durante le emergenze, queste valutazioni indirette possono essere prove preliminari per una scoperta importante così come dati statistici fortuiti, ma se questo scenario fosse corretto allora l’immunità di gregge verso SARS-CoV-2 potrebbe essersi costituita più rapidamente di quanto suggeriscano le cifre comunemente riportate.
Di nuovo, un altro recente studio15 (anch’esso non ancora sottoposto a revisione paritaria) suggerisce che non tutti i casi di infezione contribuiscano all’immunità di gregge. Su 175 pazienti cinesi con lievi sintomi di Covid-19, il 70 percento ha sviluppato forti risposte anticorpali, ma circa il 25 percento ha sviluppato una risposta bassa e circa il 5 percento non ha sviluppato alcuna risposta rilevabile. Una malattia lieve, in altre parole, potrebbe non promuovere sempre una protezione. Allo stesso modo, sarà importante studiare le risposte immunitarie delle persone con casi asintomatici di infezione da SARS-CoV-2 per determinare se i sintomi e la loro gravità possano essere predittive per l’immunità.
L’equilibrio tra queste incertezze diventerà più chiaro quando più test sierologici o esami del sangue per anticorpi saranno condotti su un gran numero di persone. Tali studi stanno iniziando16 e dovrebbero mostrare presto i risultati. Naturalmente, molto dipenderà da quanto siano sensibili e specifici i vari test: quanto bene individuino gli anticorpi SARS-CoV-2 quando sono presenti e se possono evitare segnali spuri dagli anticorpi ai virus correlati.
Una sfida ancor maggiore sarà capire cosa significa avere una risposta immunitaria in relazione al rischio di un individuo di essere reinfettato e alla sua contagiosità verso gli altri. Sulla base degli esperimenti volontari con coronavirus stagionali e degli studi sulla persistenza degli anticorpi per SARS e MERS, ci si potrebbe aspettare che una forte risposta immunitaria al SARS-CoV-2 possa proteggere completamente dalla reinfezione, mentre una risposta più debole sia in grado di proteggere dalle infezioni gravi, e di rallentare comunque la diffusione del virus.
Ma progettare validi studi epidemiologici per capire tutto questo non è facile e molti scienziati stanno lavorando sulla questione in questo momento; una difficoltà è data dal fatto che gli individui che sono stati infettati in precedenza potrebbero differire da quelli che non lo sono stati, in molti altri fattori che potrebbero alterare il loro rischio futuro di infezione. Distinguere il ruolo di una precedente esposizione da altri fattori di rischio è un classico esempio di ciò che gli epidemiologi chiamano “fattori confondenti” ed è reso oggi tremendamente difficile dalla rapida evoluzione della pandemia di SARS-CoV-2 che è ancora in espansione.
Riuscire a venire a capo di questo è tuttavia estremamente importante: non solo per stimare l’estensione dell’immunità di gregge, ma anche per capire se alcune persone possono rientrare nella società in modo sicuro senza essere nuovamente infette o senza essere vettori e diffondere il virus ad altri. Centrale sarà capire per quanto tempo dura la protezione.
Con il tempo, anche altri aspetti dell’immunità diventeranno più chiari. Prove sperimentali17 e statistiche18 suggeriscono che l’infezione con un coronavirus possa offrire un certo grado di immunità contro coronavirus distinti ma correlati. Se alcune persone abbiano un rischio maggiore o minore di infezione da SARS-CoV-2 a causa di una precedenti esposizioni ad altri coronavirus è ancora una domanda aperta.
Poi c’è la questione del potenziamento immunitario19: attraverso molteplici meccanismi, l’immunità a un coronavirus può in alcuni casi esacerbare un’infezione piuttosto che prevenirla o mitigarla. Questo problematico fenomeno è meglio conosciuto per un altro gruppo di virus, i flavivirus, e può spiegare perché la somministrazione di un vaccino contro la febbre dengue, un’infezione da flavivirus, a volte può peggiorare la malattia20. Tali meccanismi sono ancora allo studio per i coronavirus, ma la preoccupazione che essi possano essere presenti è uno degli ostacoli che hanno rallentato lo sviluppo di vaccini sperimentali contro la SARS21 e la MERS22; difendersi dal potenziamento immunitario sarà anche una delle maggiori sfide di fronte agli studiosi impegnati sullo sviluppo di vaccini contro il Covid-19.
La buona notizia è che la ricerca su SARS e MERS ha iniziato a chiarire come funziona il potenziamento23, suggerendo modi per aggirarlo24, e sono in corso una serie straordinaria di sforzi per trovare un vaccino per Covid-19, usando approcci multipli.
Sono necessarie ulteriori ricerche scientifiche su quasi ogni aspetto di questo nuovo virus, ma in questa pandemia, come con le precedenti25, le decisioni con grandi conseguenze devono essere prese prima che si abbiano i dati definitivi. Data l’attuale urgenza, il metodo scientifico tradizionale – formulare ipotesi informate e testarle con esperimenti e con attente analisi epidemiologiche – è iper-accelerato. Data l’attenzione del pubblico, questo lavoro è insolitamente sotto gli occhi di tutti. In queste difficili circostanze, possiamo solo sperare che questo articolo sembri molto presto obsoleto, quando presto si scopriranno molte cose in più sul coronavirus rispetto a quanto sia già conosciuto adesso.
Marc Lipsitch (@mlipsitch) è professore nei Dipartimenti di Epidemiologia e Immunologia e Malattie infettive di Harvard T.H. Chan School of Public Health, dove dirige anche il Center for Communicable Disease Dynamics.
- http:// https://www.nytimes.com/2020/04/13/opinion/coronavirus-immunity.html
- https://www.worldcat.org/title/observations-made-during-the-epidemic-of-measles-on-the-faroe-islands-in-the-year-1846/oclc/5972974
- https://ajph.aphapublications.org/doi/pdf/10.2105/AJPH.36.7.795
- https://www.cdc.gov/coronavirus/mers/index.html
- https://onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.1002/jmv.1890130208
- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2271881/
- https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1111/j.1440-1843.2006.00783.x
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- https://www.cnbc.com/2020/03/24/italian-coronavirus-cases-seen-10-times-higher-than-official-tally.html
- https://uk.reuters.com/article/us-health-coronavirus-southkorea/south-korea-reports-recovered-coronavirus-patients-testing-positive-again-idUKKCN21S15X
- https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.04.01.20050542v1
- https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.03.30.20047365v1
- https://www.statnews.com/2020/04/04/cdc-launches-studies-to-get-more-precise-count-of-undetected-covid-19-cases/
- https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2095096/
- https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.03.04.20031112v1
- https://www.pnas.org/content/early/2020/03/27/2005456117
- https://www.statnews.com/2016/09/01/dengue-vaccine-can-harm/
- https://insight.jci.org/articles/view/123158
- https://jvi.asm.org/content/94/5/e02015-19.long
- https://www.pnas.org/content/early/2020/03/27/2005456117
- https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMp2005630
- https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMp0904380