Il benessere psicologico dei bambini è stato compromesso in maniera importante dalla pandemia.
I danni conseguenti al lockdown e alla sua gestione, i pericoli di una comunicazione contraddittoria e fondata sulla paura, le preoccupazioni sulle conseguenze di una ripresa non sistemicamente ragionata sono ben descritti nel Comunicato Psi di 900 psicologi e psichiatri italiani.
La chiusura prolungata di servizi educativi e scuole ha provocato un ritardo educativo, non colmato dalla didattica a distanza. Le manifestazioni di disagio psicologico si sono sommate all’ aumentato rischio di violenza subita o assistita, alla riduzione di qualità degli apporti alimentari, alla riduzione dei supporti abilitativi e a volte strettamente medici per bambini affetti da disabilità o patologie croniche. Ormai è noto che i bambini si ammalano molto poco di COVID-19 e quando lo fanno, le manifestazioni cliniche sono lievi, con poche eccezioni.
Un aspetto ancora poco dibattuto riguarda le conseguenze dell’infezione materna da SARS-CoV-2 in gravidanza sulla futura salute del bambino. I primi dati sono rassicuranti, secondo lo studio svedese che ha esaminato le cartelle cliniche di 88.159 bambini nati da 87.005 madri tra l’11 marzo 2020 (data in cui alla prima donna in travaglio è stata diagnosticata la COVID-19 in Svezia) e il 31 gennaio 2021.
L’età gestazionale media dei neonati nati da madri SARS-COV-2-positive è stata di 39.2 (DS, 2.2) settimane vs 39.6 (DS, 1.8) settimane per i neonati di confronto, e le proporzioni dei neonati prematuri (età gestazionale <37 settimane) sono state 205/2323 (8.8%) tra i bambini di madri SARS-COV-2-positive e 4719/85 836 (5.5%) tra i neonati di confronto.
La positività materna a SARS-COV-2 materna è stata significativamente associata al ricovero del neonato (11.7% vs 8.4%; odds ratio [OR], 1.47; 95% ci, 1.26-1.70) e a morbilità neonatali per distress respiratorio (1.2% vs 0.5%; OR, 2.40; 95% IC, 1.50-3.84), o altri disturbi respiratori (2.8% vs 2.0%; OR, 1.42;95% IC, 1.07-1.90) e iperbilirubinemia (3.6% vs 2.5%; OR, 1.47; 95% IC, 1.13-1.90).
Al contrario, la mortalità (0.30% vs 0.12%; OR, 2.55; IC 95%, 0.99-6.57), i tassi di allattamento al seno alla dimissione (94.4% vs 95.1%; OR, 0.84; IC 95%, 0.67-1.05), e la durata del ricovero in terapia neonatale (mediana, 6 giorni in entrambi i gruppi; differenza, 0 giorni; IC 95%, −2 a 7 giorni) non hanno differito significativamente tra i gruppi.
La nascita pretermine potrebbe spiegare l’89,3% dei disturbi respiratori neonatali segnalati tra le partorienti contagiate da SARS-CoV-2. E’ importante comprendere se le problematiche respiratorie presentate dai neonati siano legate alla nascita pretermine o all’azione del virus. Tra i bambini nati da madri SARS-CoV-2-positive, ventuno neonati (0.90%) sono risultati anch’essi positivi: 12 non avevano morbidità neonatale, 9 avevano diagnosi con una relazione non chiara con SARS-COV-2, e nessuno aveva polmonite congenita.
Il basso rischio di trasmissione perinatale da madre a figlio della SARS-CoV-2 è particolarmente rilevante nel contesto della risposta alla pandemia di COVID-19 in Svezia.
Il Paese ha adottato una politica differente rispetto ai paesi vicini e ad altre Nazioni occidentali, concentrandosi sulla protezione di fasce a rischio (per esempio, anziani >70 anni) e sulla libertà e responsabilità personali, senza chiusure, nessun obbligo di mascherine e nessuna quarantena forzata per le persone infette. Il distanziamento fisico era fortemente raccomandato, è stato incoraggiato il telelavoro, se possibile, è stato raccomandato di evitare luoghi affollati e viaggi, ma le scuole non sono mai state chiuse per i bambini dai 16 anni in giù e sono state chiuse solo per 3 mesi per quelle per studenti dai 17 anni. In ospedale non c’è mai stata separazione tra madri e neonati, l’allattamento al seno è stato consentito alle madri positive, seppure con mascherina. Questa strategia è stata criticata sia all’interno che dall’esterno della Svezia; nel contesto dei risultati complessivi, la Svezia ha fatto peggio di alcuni paesi scandinavi ma meglio di altri paesi sviluppati. I confronti esatti non sono possibili a causa delle differenze nei test, nelle definizioni di malattia e nei criteri nell’attribuzione dei decessi, ma nel periodo coperto dallo studio, il 5.5% della popolazione svedese è stata infettato e lo 0.11% è morto di COVID-19. Durante lo stesso periodo, gli Stati Uniti hanno avuto un tasso di infezione del 8.0% e un tasso di mortalità dello 0.14%, nonostante politiche diverse per il contenimento della malattia. In questo contesto, la mancanza di evidenze per esiti neonatali gravi nel 92% di tutte le nascite in Svezia è rassicurante, anche perché è probabile che i risultati riportati dallo studio siano sovrastimati a causa della mancanza di test completi su tutte le donne gravide.
I dati importanti presentati da Norman et al su JAMA indicano una correlazione tra infezione in gravidanza e parto prematuro e nessun incremento di rischio di infezioni neonatali, morbilità e mortalità. Una buona notizia, finalmente.