Il periodo PANDEMICO è durato 3 anni. Quando una epidemia risponde a criteri di gravità e di diffusione globale viene dichiarato lo “stato pandemico”. È il direttore generale dell’OMS che dichiara lo stato di pandemia, sentito il parere, non vincolante, del comitato d’emergenza. Una decisione di vertice, discrezionale, su cui non si può esercitare vigilanza né tramite rappresentanti politici, né tantomeno, diretta. Così come la dichiarazione di inizio pandemia, anche la sua fine esula totalmente dalla possibilità di controllo di coloro che la stanno vivendo.

Lo stato pandemico per COVID-19 ha comportato o comunque è stato declinato in una serie di restrizioni e vincoli, alcuni dei quali mettevano in discussione diritti umani fondamentali, come quello alla libera circolazione, alla sicurezza della persona e, ora fatto assodato, anche all’informazione corretta e trasparente (la libertà di espressione).

È stato un periodo in cui il cittadino ha perso molto del suo potere di autodeterminarsi a favore di un interesse superiore, collettivo, non chiaramente individuabile. Circostanze che disorientavano, dato che gli sviluppi erano imprevedibili e le avvertenze spesso irragionevoli e contraddittorie. Tutto ciò impattava pesantemente sulla vita di ciascuno, anche perché le indicazioni avevano il tenore non del consiglio, ma dell’obbligo, anzi dell’obbligo-disobbedienza-punizione, che sottolineava la subalternità ed infantilizzava i cittadini.

Non era chiesta collaborazione, ma obbedienza.

Una situazione di elevato e prolungato STRESS psicologico, se non del tutto nuova perché paragonabile alla condizione di forte limitazione delle libertà personali, alterazione della comunicazione, incertezza e minaccia alla propria integrità fisica e psicologica, che si sperimenta durante eventi traumatici come una guerra, un terremoto, un incidente di vaste proporzioni, ma, sicuramente, inconsueta nella sua dimensione diffusa, sottile e pervasiva.

La nuova pandemia di Coronavirus Disease 2019 ha causato disagi a livello mondiale e ha contribuito ad un aumento del disturbo psicologico tra la popolazione.

Uno studio iniziale, ha rilevato che il 35% degli intervistati cinesi ha riportato elevati livelli di disagio psicologico e quasi il 5% ha raggiunto gravi livelli di disagio.

Davillas e Jones hanno scoperto che la prevalenza del disagio psichico in un campione del Regno Unito è aumentata dal 18,5 al 27,7% durante la prima ondata della pandemia di COVID-19. In Spagna, era prevalente nel 65,2% degli intervistati. In Australia, circa il 33% dei partecipanti al sondaggio ha riportato livelli di disagio psicologico da elevati a molto elevati.

Lawrence Palinkas, studioso di adattamenti psicosociali in ambienti estremi, afferma che in presenza di un periodo di tempo molto ben definito di isolamento, le persone sane (come ad esempio gli scienziati che lavorano in regioni remote), si comportano piuttosto bene fino alla metà del periodo di isolamento (potremo definirla fase di benessere).

Successivamente sperimentano una caduta di umore (fase depressiva) e, infine, quando sanno che il loro confinamento sta per concludersi, iniziano una fase di sostanziale recupero (fase di ripresa).

Il problema del lock-down da emergenza sanitaria è determinato dal fatto che ci siamo trovati in un periodo di confinamento il cui termine e modalità di sviluppo non erano chiari.

Non avere controllo, né informazioni adeguate, ci ha confinati per un lunghissimo tempo nella fase 2 di Palinkas (fase depressiva). [1]

Tutte le conseguenze di questa condizione, probabilmente non si sono ancora palesate.

Chouker (2020), un ricercatore medico che studia il rapporto tra immunologia e stress presso l’Università di Monaco, ha riscontrato cambiamenti radicali nelle persone che partecipano a simulazioni di missioni di volo spaziale e quarantena. Si trattava di persone giovani e addestrate e non in condizioni di reale minaccia; ma il semplice fatto di vivere in uno stato di confinamento produceva in loro cambiamenti importanti; modifiche nel loro sonno, nel sistema immunitario, endocrino, neurocognitivo e alterazioni del metabolismo. Inoltre, afferma Choucker le persone che attraversano un periodo di isolamento, spesso sperimentano sintomi riferibili ad un Disturbo Post-Traumatico.

Chi sinora ha studiato il fenomeno, concorda nel rilevare quali siano i sintomi più frequenti del DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS: ansia, insonnia, DEPRESSIONE, disturbo del controllo degli impulsi, ricorso a sostanze psicotrope fino a configurare vera e propria Addiction, comportamenti di evitamento e rimozione dell’evento traumatico (determinazione a rifuggire da qualunque situazione che costringa a ricordare).

Le condizioni di stress e di ISOLAMENTO prolungate nel tempo comportano, oltre a disturbi fisici, conseguenze psicologiche che si pongono nello spettro che va dal dolore psichico reattivo e fisiologico, a condizioni psicopatologiche franche.

Distinguere con sufficiente chiarezza in quale punto dello spettro si situa il disagio di una persona è importante; perché diverso sarà l’approccio al problema stesso.

Tra le varie espressioni della sofferenza psichica merita un’attenzione particolare il disturbo depressivo perché presente in termini significativi e perché, nella sua forma più estrema, può avere prognosi infausta.

La prevalenza della depressione nel periodo di tempo che va dal dicembre 2019 al giugno 2020, secondo la revisione di 16 ricerche scientifiche condotta da Lakhan, Agrawal e Sharma, variava dall’8,3 al 48,3% tra gli intervistati cinesi. In India la depressione è stata segnalata nel 25% degli intervistati, in Italia dal 15,4 al 17% e in Spagna dall’1,7% di depressione estrema all’8,7% di depressione lieve.

Per molto tempo si è cercato di distinguere quanto il dolore morale, la tristezza, l’avvilimento, il senso di incapacità, di inutilità, il disinteresse fino allo svuotamento affettivo, il pessimismo, l’angoscia, l’inquietudine e la mancanza di speranza possano essere considerati normali oppure patologici.

Se ne occupò Ippocrate e dopo di lui Aristotele fino a Galeno e via via sino ai giorni nostri è arrivata la definizione di malinconia senza causa o sproporzionata alla causa e con causa; intendendo la prima patologica e non la seconda, quindi la prima degna di cure e la seconda per cui la cura (così dice Freud in ” Lutto e Melanconia”- 1915) “può essere inutile se non dannosa qualsiasi forma di interferenza“.

Ippocrate nel V secolo AC tuttavia, introduceva anche il concetto di tempo “se la paura o la tristezza durano a lungo, si tratta di melancolia”.

Il LIMITE tra la sofferenza morale come dimensione sì dolorosa, ma elemento che comunque si fonde armonicamente nella vita di ciascuno e quanto, invece, possa assumere caratteristiche di gravità tali da rendere impossibile riemergere, se non con l’aiuto della mente che cura la mente (psicoterapia) oppure attraverso l’ausilio farmacologico di terapia medica, è sempre sfumato.

Cos’è ciò che abitualmente viene chiamato UMORE o DISPOSIZIONE EMOTIVA o STATO D’ANIMO?

La similitudine che propone Reda tratteggia molto bene le sfumature che caratterizzano le variazioni dello stato d’animo.

Si pensi all’ umore come ad un TORRENTE: abitualmente una persona ha la sensazione di scorrere e produrre qualcosa, dentro e fuori di sé.

Ha la sensazione di fluire dunque, proprio come l’acqua di un torrente scorre, rallenta in piccole pozze, sgorga a volte più velocemente, altre volte si avvita su se stessa in cerchi concentrici, come in riflessione e poi riprende ad andare; fuori da sé bagna le rive, rimuove le foglie, dà la possibilità a piccoli animali di viverci e di abbeverarsi, produce suoni; quando si sta bene è un po’ così…ma i torrenti risentono molto più dei fiumi delle variazioni del clima.

Durante la stagione secca niente più acqua dai ghiacciai e nevai, non più pioggia per giorni e giorni e settimane e mesi…l’acqua si ritira nell’alveo in piccole pozze sempre più opache, circola in lenti mulinelli e poi più neanche in quelli; non si riesce a dare più niente né ai pesci né agli animali che si abbeverano alle sponde. Compare un fondo melmoso che infine crepa in rughe profonde, si arresta qualsiasi tipo di movimento e con la fine di questo, scompare anche il rumore.

Così la persona triste: sempre più ritirata in se stessa; tutto è faticoso, il lavoro, gli impegni domestici…si ritira sempre di più, a volte nello stretto confine della propria stanza, del proprio letto, anche alimentarsi diventa difficile. La descrizione potrebbe continuare con la metafora del torrente in piena, che bene descrive la maniacalità: l’altra faccia della depressione. Un’espansione esagerata del tono dell’umore che ha in sé qualcosa di distruttivo, di triste e alienante.

Eppure questi sentimenti sono comuni a molti, anche a chi non è mai stato, per davvero, depresso o maniacale.

Come distinguere il malumore, la tristezza, l’amarezza dalla depressione che ha bisogno di cura?

Il rischio da un lato, è di MEDICALIZZARE ciò che fa parte della gamma di sentimenti che si provano abitualmente e che, se pure dolorosi, rendono le persone più profonde e più vere; perché non c’è nulla di più alienante che negare dimora ad un sentimento doloroso in nome della felicità ad ogni costo. Una felicità estorta, esibita, vuota che rende ancora più soli.

Dall’altro c’è il rischio dell’accettare, per così dire senza soglia, la sofferenza dentro di sé e nell’altro; questo atteggiamento può rendere SORDI AL DOLORE, può impedire di cogliere la sofferenza e quindi trovare una via per poterne emergere.

In breve il dolore può essere sottovalutato, banalizzato e trascurato.

È sicuramente una distinzione difficile da fare.

Dovrà tenere conto, da un lato, dell’entità e durata degli stimoli negativi subiti, dall’altro delle risorse individuali e dell’ambiente/comunità con cui il soggetto sofferente abitualmente interagisce.

Il limite quindi tra reazione “normale” o “patologica”, non è tanto legato al fatto in sé, ma alla relazione e all’equilibrio tra l’imponenza del dolore psichico e la capacità di chi lo prova e di chi accoglie il sofferente, di assorbirlo e trasformarlo.

La seconda dimensione di rilievo è l’evoluzione nel tempo del disagio.

Il corpo e la mente hanno una tendenza innata a stare meglio, a risanarsi; senza questa potenzialità non sarebbe possibile alcuna cura. Se c’è movimento, se ci sono progetti ed obiettivi, anche se ancora lontani dall’essere realizzati, significa che l’acqua comincia a scorrere di nuovo nel torrente.