Il leitmotiv di virologi-star e di politici interessati dai fatti è il seguente: «È sbagliato colpevolizzare Governo e Regione Lombardia perché non sono state prese certe decisioni in pandemia, il fatto è che all’epoca brancolavamo nel buio». Questa è la tesi difensiva di politici e virologi per minimizzare l’inchiesta di Bergamo sulle morti Covid-19 per “epidemia colposa”. Il periodo di riferimento è la prima ondata di Sars-Cov-2, che coincide con il primo trimestre del 2020 durante il quale abbiamo avuto il maggior numero di morti Covid, lockdown, limitazioni delle libertà costituzionali, paura pandemica indotta che ha condizionato, e condiziona, l’attuale normalità dal punto di vista culturale, economico, psicologico e sociale.

Il tentativo è quello di giustificarsi di fronte agli errori, ai ritardi, alle sottovalutazioni, alle mancanze dicendo che all’epoca non si sapeva nulla della Covid-19 e che quindi, bisogna essere clementi con giudizi sulle responsabilità politiche. In questi giorni, la fiera dei distinguo, degli scarica-barile, dall’“io non c’entro”, dei “non sapevamo che fare” si arricchisce ad ogni ora.

“Mettere qualcuno sulla graticola è sbagliato e rischioso” – sono le parole di Matteo Bassetti, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, Direttore della Clinica di Malattie infettive presso il Policlinico San Martino di Genova e viro-star televisiva (dei cui conflitti di interesse AsSIS ha scritto QUI). L’immunologo ha dichiarato che «Eravamo tutti al buio nelle prime due settimane: è chiaro che oggi, con le conoscenze acquisite, la vediamo in maniera diversa, ma andare a sindacare sulle decisioni prese allora è un esercizio profondamente sbagliato» – aggiungendo che secondo lui – “si sta buttando benzina sul fuoco dei negazionisti e dei no vax perché oggi prendono l’indagine (della Procura di Bergamo, ndr) come una vittoria”. Giustamente, pur di prendersi le proprie responsabilità, meglio trovare il capro espiatorio a cui addossare le colpe, a tal punto da definire l’inchiesta una vittoria per i “novax”.

Eppure vi erano medici che, al posto di fare le soubrette in TV, curavano, cercavano di curare il virus e portavano a casa risultati positivi. Stiamo parlando di medici come Andrea Mangiagalli, Luigi Cavanna dell’USCA di Piacenza, Andrea Stramezzi (medico di Medicina Generale di Milano), Paolo Gulisano (medico epidemiologo e già docente della storia della medicina all’Università Statale di Milano) e i medici del Movimento Ippocrate.Org che andavano a casa, curavano con antinfiammatori e vitamine fin dai primi sintomi e nessuno dei loro pazienti è morto. I medici che applicavano le terapie domiciliari in fase precoce hanno più volte denunciato che solo il 10% dei medici di base andavano effettivamente a visitare i pazienti, affermando che la “medicina dei protocolli” non avrebbe dovuto prendere il sopravvento sulla medicina della cura, della visita, della diagnosi e della terapia mirata più adeguata. Vi erano i medici che fin da subito hanno denunciato come le autopsie fossero fondamentali per capire la gran parte dei decessi.

Furono i risultati delle autopsie eseguite sui pazienti deceduti all’ Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e al “Luigi Sacco” di Milano, pubblicati su The Lancet, a scoprire la causa della morte per Covid-19. I ricercatori Andrea Gianatti e i suoi colleghi anatomopatologi Aurelio Sonzogni e Ahmed Nasr analizzarono i campioni di tessuto polmonare da 38 pazienti con un’età media di 69 anni, deceduti per COVID-19 nei due ospedali lombardi tra il 29 febbraio e il 24 marzo 2020, e scoprirono che al momento del ricovero tutti i pazienti presentavano caratteristiche cliniche e radiologiche di polmonite interstiziale. Tutti i casi hanno mostrato un danno alveolare diffuso, come congestione capillare, necrosi, edema e trombi. Questo spostò la Covid-19 da malattia respiratoria a cardiovascolare. Abbiamo dovuto attendere che venissero effettuate le prime autopsie sui cadaveri, proibite dal Governo, e non appena si è saputo, i medici hanno inserito nel piano terapeutico anche anticoagulanti come eparina e l’aspirinetta in fase precoce. Tutto ciò, per le viro-star televisive non era lontanamente pensabile, esattamente come non era pensabile violare i protocolli ministeriali per fare le autopsie e scoprire la verità sulla malattia di cui non si sapeva nulla.

In questi giorni non solo Bassetti ha cercato di lavarsene le mani, ma anche Silvio Brusaferro, Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità che ha detto che non sapeva dell’esistenza di un piano pandemico, per altro non aggiornato dal 2006 e che nel 2017 non venne proprio aggiornato dall’allora Direttore Generale del Ministero della Sanità italiana Ranieri Guerra, attuale Direttore Aggiunto dell’OMS. Come si può pensare che il vertice della Sanità del Paese non fosse informato di uno strumento che avrebbe potuto salvare, stando anche alla tesi dei magistrati, migliaia di vite? L’esistenza del piano pandemico non aggiornato era stato segnalato fin da subito dalle inchieste de Il Fatto Quotidiano, da Marco Travaglio, dal programma d’inchiesta Report e anche dal  RAPPORTO An unprecedented challenge Italy’s first response to Covid-19 firmato dal ricercatore dell’OMS Francesco Zambon, per il quale venne licenziato. Il Rapporto sottolineava chiaramente che la gestione pandemica aveva gran poco di scientifico.

Eppure in questi giorni, nella corsa allo scarica-barile, è approdato anche Walter Ricciardi che ha definito il lockdown come una misura di «cieca disperazione». All’epoca pontificava sul giornale dei vescovi Avvenire che bisognava eseguire ciò che scienza e evidenze mediche imponevano. Per non parlare della viro-star per eccellenza, Roberto Burioni, che a febbraio 2020 disse che non c’era alcun pericolo che il Sars-Cov-2 arrivasse in Italia, per poi trasformarsi nell’unico punto di riferimento sul tema insieme al suo blog Medical Facts. Il 9 marzo 2023, con un tweet, ha compiuto l’ennesimo strafalcione: «Qualunque affermazione scientifica si basa sui dati disponibili. Se i dati sono incompleti o addirittura falsi è ovvio che l’affermazione stessa può risultare scorretta o falsa, ma la colpa è di chi ha omesso o falsificato i dati, non di chi ha fatto l’affermazione». In sostanza ha detto pubblicamente: “se ho detto baggianate a milioni di telespettatori con granitica certezza non era colpa mia”.

Allora perché nel nome della scienza ci sono state imposte come dogma decisioni sbagliate e disastrose, che hanno diffuso il contagio abbandonando i pazienti da curare? Se si accetta la tesi che all’epoca si stesse brancolando nel buio, perché allora ci sono state spacciate tutte le decisioni con “certezza” scientifica? Perché allora “Lo dice la scienza” era diventato il mantra rassicurante di stampa mainstream, dei virologi e di molti politici? Perché coloro che mettevano in discussione la poca trasparenza con cui venivano forniti i dati statistici, venivano additati come un “anti-scienza”? Perché la comunicazione scientifica è stata imposta come “sapere incontrovertibile”, “verità dogmatica incriticabile” intrisa di scientismo fanatico, se non era supportata da nessun riscontro? Perché, nonostante vi fosse gran parte della comunità scientifica che dissentiva profondamente dalla narrazione dominante e riduzionista, si è fatto di tutto per additarla con tutti gli appellativi possibili piuttosto di avviare un sano confronto per prendere decisioni più sensate ed equilibrate? Se fin da subito vi erano medici che somministravano terapie domiciliari in fase precoce per spegnere l’infiammazione e permettere al corpo di combattere il virus, perché il governo ha fatto di tutto per boicottarle promuovendo “tachipirina e vigile attesa”? Perché si è impedito sistematicamente ai medici di continuare a proporre vie terapeutiche che spettano solo a loro nella loro libertà prescrittiva? Se da sempre nella storia della microbiologia, quando vi è un Unusual Epidemic Event, si conducono autopsie sui morti per capire come una malattia influisce, perché durante la prima ondata si sono vietate le autopsie? Era la deontologia medica e la “scienza” a dirlo, o i protocolli ministeriali scelti a tavolino?

È da più di un anno che la Commissione Medico-Scientifica Indipendente (CMSi) richiede un confronto prima con il Comitato Tecnico Scientifico ed ora con i rappresentanti istituzionali e l’OMS per discutere quali siano le prove dell’efficacia delle strategie vaccinali, delle terapie e delle politiche sanitarie adottate, anche se ad oggi nessuna risposta.

In realtà dire che la “scienza non è democratica”, come Burioni e Bassetti hanno più volte dichiarato, è segno di una forte ignoranza epistemica. La scienza non dice cose vere, ma “esatte”, ovvero ex-actu: “in base ai presupposti che si pongono”. Come ci hanno insegnato Galileo, Darwin, Einstein ma anche Hahnemann, prima delle loro scoperte la scienza dava altre spiegazioni che erano coerenti con i presupposti dati per veri, quindi le tesi erano “esatte”. Cambiando i presupposti, cambia anche tutta la coerenza di una tesi scientifica e quindi si può arrivare a tesi diverse o opposte: per questi motivi la scienza è in continua evoluzione. Lo scientismo invece, che ha le sue radici nel positivismo francese del sec. XIX, tende ad attribuire ai metodi delle scienze fisiche e sperimentali la capacità “incontrovertibile” di soddisfare tutti i problemi e i bisogni dell’uomo. Fortunatamente lo scientismo non è la scienza, anche se durante la Covid-19 l’informazione mainstream era intrisa di propaganda scientista piuttosto che di informazione scientifica.

D’altronde in nome della “scienza” si è imposta una gestione epidemiologica e securitaria fatta di lockdown, le mascherine, i distanziamenti fisici (concretizzati poi in “distanziamenti sociali”), che ha fornito una visione univoca della crisi sanitaria, a tal punto da imbastire una militarizzazione della pandemia e una biopolitica del contagio (guerra alle passeggiate, caccia ai runner, fermi di polizia, multe che incidevano sulla fedina penale, colpevolizzazione dei presunti untori, isteria sociale, paura dell’Altro, sociofobia, polarizzazione dell’opinione pubblica, etc…) che hanno influito sulla sfera psicologica e sulla salute mentale. Il problema è che in tutto questo vi era gran poco di scientifico.

Se, a detta loro, si “brancolava nel buio” e non era scienza quella che veniva spacciata ma “ipotesi”, o si sta cercando di rivoltare la frittata nella speranza che certe responsabilità vengano messe a tacere, oppure siamo di fronte ad una grande mistificazione. Sembra che il mainstream virologico, dopo aver condizionato le decisioni politiche con il suo martellamento mediatico tra la caccia all’untore, al “no-mask”, al “no-vax”, cerca di coprirsi con una linea difensiva abbastanza ipocrita.

Quel giorno i Bassetti, i Brusaferro e i Burioni ci verranno a dire che in fondo i vaccini non erano poi così efficaci e nemmeno così sicuri, che gli studi sulla base dei quali l’FDA americana aveva dato il loro via libera e a ruota l’Ema e poi l’Aifa non erano poi così completi. Quel giorno sarà un nuovo giorno di lutto per l’etica, ma speriamo che nel frattempo possa essere un giorno di gloria per la giustizia.

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