Società del controllo e “disinformazione”
Il tema della censura preventiva pone oggi il problema della post-verità (spiegata molto bene dall’ecofilosofo catalano Jordi Pigem nel libro “Pandemia i post-veritat. La vida, la consciencia y la Quarta Revoluciò Industrial”) e della repressione della libertà d’espressione, della censura vera e propria e della violazione dei diritti umani, oltre ai diritti fondamentali riconosciuti nelle Costituzioni.
In un periodo così oscuro, in cui le nostre democrazie si stanno sempre più trasformando in post-democrazie, pochi hanno ancora il privilegio di comprendere istintivamente il valore quasi sacro della libertà di parola nel mantenere le nostre società libere e aperte. Nelle nazioni democratiche le persone sono sempre più predisposte a cedere e delegare la loro libertà di parola a Governi, organizzazioni private, istituzioni e aziende Big Tech, che si sono assunte il ruolo di controllori del flusso di informazioni per mantenere tutti “al sicuro”.
Il luogo in cui si sta riducendo la libertà di parola è la piazza pubblica globale del XXI secolo: Internet; le ragioni proclamate per consentire a chi detiene il potere di diminuire la nostra possibilità di espressione di pensiero critico su Internet sono: “disinformazione” e “incitamento all’odio”.
Definire con precisione cosa si intende per disinformazione e chi ha l’autorità per farlo è una sfida complessa. La “disinformazione” può spaziare oggi tra teorie cospirative non comprovate a opinioni legittime supportate da prove scientifiche che la narrazione dominante non vuole che si divulghi.
Imporre la censura preventiva dell’informazione senza una chiara definizione e senza criteri oggettivi è più che problematico: nessuna norma giuridica la definisce, e ciò porta al radicamento e alla propaganda da parte di chi detiene il potere economico in nome di interessi contrastanti. E, come abbiamo visto nell’era della Covid, porta all’ingiusta soppressione di punti di vista legittimi. Il segnale di un senso critico che sta svanendo è che la gente si accontenta di informazioni sfornate, impacchettate e consegnate a cui si deve credere per forza. Il tema che emerge è quello della “società del controllo”.
Bugie, propaganda, “falsi profondi” e ogni tipo di informazione fuorviante sono sempre stati presenti su Internet. Il vasto hub di informazioni globale, che è il World Wide Web, offre inevitabilmente opportunità a criminali, a disinformatori e ad altri attori di avere la meglio, ma allo stesso tempo Internet è diventato il luogo centrale di dibattito per la popolazione mondiale, democratizzando l’accesso alle informazioni e la capacità di pubblicare le proprie opinioni a un pubblico globale. Quando regoliamo il flusso di informazioni su Internet, deve applicarsi lo stesso attento equilibrio tra il blocco di soggetti realmente pericolosi, pur mantenendo la massima libertà e democrazia. Questo perché, se vogliamo usare categorie moraleggianti, il bene e il male su Internet riflettono il bene e il male nel mondo reale.
Purtroppo oggi – sebbene i regolatori affermino che le notizie false, la disinformazione e l’incitamento all’odio rappresentino minacce esistenziali alla democrazia e ai diritti umani – la recente serie di leggi che regolano l’informazione su Internet sono distorte in modo significativo nella direzione di limitare la libertà di parola e aumentare la censura preventiva.
Come le organizzazioni internazionali giustificano la lotta alla “disinformazione”
Ecco alcuni esempi emessi dalle principali organizzazioni internazionali sulle minacce catastrofiche alla nostra stessa esistenza presumibilmente poste da ciò che è definito “disinformazione”:
- “La propaganda, la disinformazione e le fake news possono polarizzare l’opinione pubblica, promuovere l’estremismo violento e l’incitamento all’odio e, in ultima analisi, indebolire le democrazie e ridurre la fiducia nei processi democratici”. – Consiglio d’Europa
- “Il mondo deve affrontare il grave danno globale causato dalla proliferazione dell’odio e delle menzogne nello spazio digitale”. – Nazioni Unite
- “L’incitamento all’odio e la disinformazione online incitano da tempo alla violenza e talvolta ad atrocità di massa”. – Forum Economico Mondiale (WEF)/Il Nuovo Umanitario
Considerando l’enorme pericolo rappresentato dalla disinformazione, ne deriva che qualsiasi soluzione contro la disinformazione non promuoverà provvedimenti anti-democratici: “Considerata una minaccia così globale, abbiamo chiaramente bisogno di una soluzione globale. E, naturalmente, tale soluzione aumenterà la democrazia, proteggerà i diritti delle popolazioni vulnerabili e rispetterà i diritti umani.” – si legge sul sito del WEF.
Nel suo documento politico sull’agenda comune del giugno 2023, Integrità delle informazioni sulle piattaforme digitali, l’ONU descrive dettagliatamente il quadro giuridico internazionale degli sforzi volti a contrastare l’incitamento all’odio e la disinformazione, ricordandoci che la libertà di espressione e di informazione sono diritti umani fondamentali: l’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e l’articolo 19, paragrafo 2 del Patto tutelano il diritto alla libertà di espressione, compresa la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni tipo, senza riguardo alle frontiere, e attraverso qualsiasi mezzo. L’Assemblea Generale ha affermato: “La libertà di informazione è un diritto umano fondamentale ed è la pietra di paragone di tutte le libertà a cui sono consacrate le Nazioni Unite.”(Pagina 9)
Quindi, la nota delle Nazioni Unite spiega che la “disinformazione” e “l’incitamento all’odio” sono mali così colossali e onnicomprensivi che la loro stessa esistenza è antitetica al godimento di qualsiasi diritto umano.
Nella Risoluzione 76/227, adottata nel 2021, l’Assemblea Generale ha sottolineato che tutte le forme di disinformazione possono avere un impatto negativo sul godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali, nonché sul raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Allo stesso modo, nella Risoluzione 49/21, adottata nel 2022, il Consiglio per i diritti umani ha affermato che la disinformazione può influire negativamente sul godimento e sulla realizzazione di tutti i diritti umani. Un’altra giustificazione si rifà all’incitamento all’odio come precursore di crimini atroci, compreso il genocidio: la Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948 vieta “l’incitamento pubblico e diretto a commettere un genocidio”. Se l’incitamento all’odio e la disinformazione sono i precursori di inevitabili “orrori genocidi”, l’unico modo per proteggere il mondo è attraverso uno sforzo internazionale coordinato.
Chi dovrebbe guidare questa campagna? Secondo il WEF, “I Governi possono fornire alcune delle soluzioni più significative alla crisi adottando normative di vasta portata” – ovvero quello che stanno facendo.
Questo contorto labirinto di termini legali porta a una sequenza assurda, contraddittoria e illogica: se è vero che le Nazioni Unite ritengono che l’incitamento all’odio e la disinformazione distruggono i diritti umani e che l’ONU dovrebbe proteggere la libertà di informazione e di parola, in quanto diritto umano fondamentale; è anche vero che le legislazioni che si promettono di combattere l’incitamento all’odio e la disinformazione spesso si concretizzano nella violazione di quei diritti umani fondamentali della libertà di parola e di informazione, da cui dipendono tutti gli altri diritti. La stessa distorsione dei valori democratici, delineata dal nostro organo di governo internazionale, si sta verificando nelle democrazie di tutto il mondo.
Il ruolo del debunking e l’introduzione problematica di “leggi anti-disinformazione”
L’introduzione delle “leggi anti-disinformazione” sta comportano un aumento enorme della censura totale e preventiva del flusso di informazioni. Il processo attraverso il quale sono introdotte le “leggi anti-disinformazione”, si svolge in tre fasi:
- Dichiarare l’esistenza di una minaccia esistenziale alla democrazia e ai diritti umani
- Affermare che la soluzione prevista proteggerà la democrazia e i diritti umani
- Attuare rapidamente e all’unisono una censura antidemocratica e contraria ai diritti umani
Negli Stati Uniti, la libertà di parola è sancita dalla Costituzione, quindi è difficile approvare leggi che potrebbero violarla. Nonostante ciò, con un escamotage giuridico, il governo può collaborare con organizzazioni accademiche e non governative per costringere le società di social media a censurare i contenuti sfavorevoli. Il risultato è il Complesso censura-industriale, una vasta rete di gruppi “anti-disinformazione” accademici e no-profit contigui al Governo – i famosi debunkers – tutti apparentemente mobilitati per controllare i contenuti online al fine di proteggerci da qualunque cosa loro considerino un pericolo per la civiltà occidentale.
I File Twitter su Covid, il caso Missouri vs Biden e i recenti casi giudiziari rivelano come il Governo degli Stati Uniti utilizzi questi gruppi per fare pressione sulle piattaforme online affinché censurino i contenuti non graditi.
In alcuni casi, le stesse aziende del web possono assumersi la responsabilità di controllare la narrazione in base alla propria politica e ai valori professati, senza bisogno dell’intervento del Governo. Ad esempio è stato segnalato che Google, la società di informazione più potente al mondo, ha modificato i suoi algoritmi per promuovere, retrocedere e far scomparire i contenuti secondo linee guida interne di “correttezza” non divulgate. Lo ha rivelato un informatore di nome Zach Vorhies nel suo libro quasi del tutto ignorato, Perdite di Google, e da Project Veritas, in un’operazione pungente contro Jen Gennai, responsabile dell’innovazione responsabile di Google. Nel loro benevolo desiderio di proteggerci dall’incitamento all’odio e dalla disinformazione, Google/YouTube hanno immediatamente rimosso lo stesso video originale di Project Veritas da Internet.
Nell’Unione Europea, durante l’approvazione della Legge sui servizi digitali, entrata in vigore il 16 novembre 2022, la Commissione europea si è rallegrata che “le responsabilità degli utenti, delle piattaforme e delle autorità pubbliche siano state riequilibrate secondo i valori europei”. Chi decide quali sono le responsabilità e quali sono i “valori europei”? Ovviamente “piattaforme molto grandi e motori di ricerca online molto grandi [sono obbligati] a prevenire l’uso improprio dei loro sistemi adottando azioni basate sul rischio e mediante audit indipendenti dei loro sistemi di gestione del rischio”; “I paesi dell’UE avranno il ruolo primario di [supervisione], supportati da un nuovo Comitato europeo per i servizi digitali”.
Questo atto legislativo mette la libertà d’espressione nelle mani di funzionari europei non eletti e dei loro eserciti di “segnalatori fidati”. La Commissione europea si sta inoltre conferendo il potere di dichiarare un’emergenza a livello europeo che le consentirebbe di adottare ulteriori interventi da parte delle piattaforme digitali per contrastare una “minaccia pubblica”.
Regno Unito
Un altro esempio di controversa “legge anti-disinformazione” è l’Online Safety Bill , approvato il 19 settembre 2023 dal governo britannico, il quale ha affermato: “Renderà le società di social media più responsabili della sicurezza dei loro utenti sulle loro piattaforme”. Secondo ReclaimTheNet, questo disegno di legge costituisce uno degli attacchi più ampi alla privacy e alla libertà d’espressione in una democrazia occidentale: “Il disegno di legge conferisce al governo un potere enorme; servizi online possono utilizzare software approvato dal governo per scansionare i contenuti degli utenti, comprese foto, file e messaggi, per identificare contenuti illegali”. Electronic Frontier Foundation, un’organizzazione no-profit impegnata nella difesa delle libertà civili nel mondo digitale, avverte: “la legge creerebbe un modello per la repressione in tutto il mondo”.
Australia
Altro Paese dell’anglosfera volto alla censura è l’Australia con la proposta di legge Emendamento alla legislazione sulle comunicazioni (lotta alla disinformazione e alla disinformazione) Proposta 2023, pubblicato in bozza il 25 giugno 2023, che dovrebbe essere approvato entro la fine del 2023. Il governo australiano afferma: “I nuovi poteri consentiranno all’ACMA [Australian Communications and Media Authority] di monitorare e richiedere alle piattaforme digitali di fare di più, ponendo l’Australia in prima linea nella lotta alla dannosa disinformazione e disinformazione online, bilanciando al tempo stesso la libertà di parola. Reclaim The Net spiega: “Questa legislazione concede un’ampia gamma di nuovi poteri all’ACMA, che include l’applicazione di uno “standard” che obbligherà le piattaforme digitali a rimuovere ciò che ritengono essere disinformazione”. In questo modo la legislazione consentirà la proliferazione di narrazioni ufficiali, siano esse vere, false o fuorvianti, reprimendo de facto la controinformazione ed annullando al contempo la possibilità di esprimere opinioni critiche.
Canada
Con la Legge sullo streaming online (legge C-10), entrata in vigore il 27 aprile 2023, il governo canadese e la Commissione canadese per la radiotelevisione e le telecomunicazioni (CRTC) affermano: “La legislazione chiarisce che i servizi di streaming online rientrano nel Broadcasting Act e assicura che la CRTC disponga degli strumenti adeguati per mettere in atto un quadro normativo moderno e flessibile per la radiodiffusione. Questi strumenti includono la possibilità di stabilire regole, raccogliere informazioni e emettere sanzioni in caso di non conformità”. Secondo OpenMedia, un’organizzazione per i diritti digitali: “Il disegno di legge C-10 conferisce alla CRTC un‘autorità di regolamentazione senza precedenti per monitorare tutti i contenuti audiovisivi online. Questo potere si estende alla penalizzazione dei creatori di contenuti e delle piattaforme e, attraverso di essi, ai creatori di contenuti che non si conformano”. Insomma, quello che George Orwell avrebbe chiamato il Ministero della Verità.
Organizzazione Mondiale della Sanità
Un ultimo esempio, non per importanza, è dato dalla nuova proposta di Trattato Pandemico e dagli emendamenti al Regolamento Sanitario Internazionale dell’OMS che sperano di approvare nel 2024, coinvolgendo i Governi membri al fine di “contrastare e affrontare gli impatti negativi della informazione falsa, della disinformazione, dell’incitamento all’odio e della stigmatizzazione in ambito sanitario, in particolare sulle piattaforme dei social media, sulla salute fisica e mentale delle persone, al fine di rafforzare la prevenzione, la preparazione e la risposta alla pandemia e promuovere la fiducia nei sistemi sanitari pubblici e alle autorità“. Essenzialmente ciò darà all’OMS, un organismo internazionale non eletto, il potere di definire opinioni critiche o informazioni non istituzionali come “mis-informazione o disinformazione” e richiedere ai Governi nazionali di intervenire e fermarne la diffusione. Si tratta di un’azione incompatibile con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che viola la libertà di espressione, che reprime la controinformazione e soprattutto non riconosce il pluralismo e la libertà terapeutica.
Queste disposizioni perseguono l’idea autoritaria che vi sia un’unica interpretazione di cosa sia la salute e di quali siano le strategie più efficaci per tutelarla.
Ci sono oggi epistemologie olistiche concorrenti rispetto alla medicina biochimica allopatica occidentale che si basano su un’idea dell’organismo, e più in generale del rapporto tra essere umano, ambiente e società e che perseguono un’idea differente di salute, basata essenzialmente su prevenzione primaria, alimentazione, stili di vita, auto-realizzazione, socialità e spiritualità.
La proposta di censura preventiva dell’OMS, negli emendamenti al Regolamento Sanitario Internazionale pone un dilemma fondamentale per le società: l’applicazione della censura preventiva può portare all’ingiusta soppressione di punti di vista legittimi e all’esclusione di informazioni critiche. L’accesso alle informazioni e la libertà di espressione hanno svolto un ruolo cruciale nell’identificazione e nella risoluzione di un problema di salute pubblica, e queste libertà non dovrebbero essere compromesse da misure di censura preventiva.