Benvenuto profitto- salve lucrum: difendiamo l’articolo 32 della costituzione dall’assalto dei privati alla sanità pubblica!
Pubblichiamo la lettera di una lettrice che mostra chiaramente come la gestione della sanità pubblica non sia per niente in linea coi bisogni dei cittadini.
Buongiorno, vi scrivo per raccontarvi la nostra disavventura presso un grande ospedale pubblico di Roma.
Faccio una premessa per spiegare come siamo finiti al pronto soccorso. A inizio anno abbiamo scoperto che mio suocero aveva un tumore al cervello, da lì sono scattati tutti i controlli di routine, l’operazione avvenuta i primi di marzo e a seguire la cura.
Giovedì scorso, ero a lavoro e mi chiama mia suocera dicendomi che mio suocero non stava bene, non era lucido, non era presente. Erano a golf. Lo riporta a casa, con un po’ di fatica aiutata dai miei figli in attesa del ritorno mio e di mio marito. Lo mettono sul divano ed inizia a giocare a burraco con un fazzoletto che aveva in mano, lo stesso fa con la pasta nel piatto. Alla fine, mia suocera lo mette a letto e si addormenta. Al risveglio era di nuovo lucido, ma non ricordava nulla.
Nel frattempo, io e mio marito siamo tornati a casa, ma visto che dormiva lo abbiamo lasciato riposare. Sentiti i medici, la sera, abbiamo deciso di portarlo in pronto soccorso, vista la sua situazione clinica. Così, poiché abitiamo fuori Roma, abbiamo deciso di portarlo in un ospedale grande a Roma dove sarebbe stato seguito su tutto, visto che non sapevamo da cosa potesse dipendere, se dai medicinali che stava assumendo per il tumore, o da altro.
Arriviamo al pronto soccorso, mio suocero era lucido. Lo trattengono per fare gli accertamenti. Così decidiamo di appoggiarci a casa di parenti lì vicino per la notte. A mezzanotte ci chiamano dandoci degli aggiornamenti sulla situazione. Nell’ospedale da dopo il covid non è possibile entrare né parlare con i medici se non per telefono, ma è presente un gabbiotto dove dalla mattina alla sera è presente una persona che da informazioni. Così la mattina ci avviamo all’ospedale e chiediamo informazioni al gabbiotto. Ci dice che stanno facendo ancora altri accertamenti e che ci avrebbero chiamato loro nel caso lo avessero dimesso.
Non sapendo quanto sarebbe stato trattenuto ancora ho deciso di tornare a casa per prendere il necessario per noi e un cambio per mio suocero. Verso l’ora di pranzo ero di nuovo in ospedale. Mio marito, nel frattempo, era rimasto lì per qualsiasi evenienza. Arrivata al parcheggio chiamo mio marito, il quale si allontana dal PS per venirmi incontro (5/10 minuti non di più). Proprio in quel momento dimettono mio suocero senza avvisarci. Per loro è stato un attacco epilettico, ma ora sta bene. Esce e poiché non è molto stabile cade, per fortuna non si fa nulla di grave solo qualche escoriazione su ginocchio e mano. Arriviamo e lo troviamo fuori.
Eravamo molto stanchi e non vedevamo l’ora di riportarlo a casa, così mio marito va a prendere la macchina. Noi, nel frattempo, ci sediamo in attesa del suo arrivo. Mio suocero era lucido apparentemente, ma tremava. Diceva che dentro aveva sentito molto freddo, aveva chiesto una coperta, ma non ne avevano e gli avevano dato un altro lenzuolo. Appena è arrivato mio marito lo abbiamo messo in macchina e ci siamo diretti verso casa. A nemmeno metà strada ha iniziato nuovamente a non essere lucido e parlare di carte (il suo passatempo). Così abbiamo fatto inversione e siamo tornati in ospedale, in macchina mentre attendevamo che lo facessero entrare tremava ed ha avuto molto probabilmente un attacco epilettico.
All’accettazione gli hanno ripreso i parametri e aveva la febbre quasi a 40. Così lo hanno trattenuto nuovamente per accertamenti. Siamo rimasti fuori dal PS aspettando che ci facessero sapere. Il medico di turno ci ha chiamato, si è scusata per averlo dimesso senza avvisarci e ci ha detto che vista anche la febbre sarebbe stato meglio trattenerlo e ricoverarlo, ma poiché non avevano posti letto in reparto sarebbe dovuto rimanere in pronto soccorso per 3/4 giorni.
Noi torniamo a casa, era ormai pomeriggio tardo di venerdì. Arrivati a casa decidiamo di farlo spostare, così contattiamo i medici che lo seguono per il tumore per capire come fare e dove portarlo. Alla fine, decidiamo di spostarlo in una struttura privata, dove lo avevano anche operato.
La mattina seguente ci rechiamo in ospedale. Diciamo alla signora al gabbiotto che vogliamo spostare mio suocero e quindi fare delle dimissioni volontarie contro il parere del medico. Be vi sembrerà pazzesco, ma liberare un letto è stata un’impresa. Per farlo dimettere serviva la firma di un medico. La signora del gabbiotto non poteva muoversi per avvisare e non poteva chiamare. Ci ha detto di aspettare che ci chiamassero o richiamare il numero dal quale eravamo stati contattati il pomeriggio prima. Mio marito si attacca al telefono, ma senza risposta, così sollecitiamo ancora la signora del gabbiotto che ci risponde anche in maniera acida, dicendoci che lei non si può allontanare e se lo fa è solo un favore…. Ci accorgiamo che c’è una postazione della polizia dietro al PS così mi affaccio per parlare con il poliziotto. Ovviamente per lui queste richieste sono ormai all’ordine del giorno (cioè non si riesce nemmeno a far dimettere un paziente….). Vista la mia insistenza viene con noi al gabbiotto, ma non risolve nulla. Lui non ha potere all’interno del PS (questo ci ha risposto). Per fortuna all’ennesimo tentativo di chiamata rispondono dal PS. Il medico ci dice di attendere 5 minuti e ci avrebbe fatto entrare. Così è stato siamo entrati nel ps, io sono potuta entrare fino ad un certo punto poi hanno fatto andare avanti solo mio marito.
Usciti mio marito era sconvolto. Lo hanno fatto entrare in questo stanzone, dove c’erano lettini uno attaccato all’altro, le persone non potevano scendere, non avevano un sistema di chiamata degli infermieri, quindi, si sentivano urla continue delle persone che chiedevano aiuto, non avevano acqua a disposizione (gli infermieri hanno riferito che al momento l’avevano terminata ed erano in attesa di rifornimento) e ovviamente nella stanza non c’era una separazione tra maschi e femmine. Mio suocero successivamente ci ha raccontato che ogni tanto qualcuno moriva e veniva portato via.
Usciti da lì lo abbiamo portato in questa clinica privata dove finalmente si sta rimettendo.
Non ho dormito per due notti pensando a cosa possiamo fare per quelle persone costrette ad andare al PS e che non hanno assicurazioni sanitarie private o soldi che gli permettano di rivolgersi a strutture più organizzate. È veramente triste vedere come la sanità sia stata completamente abbandonata. In queste condizioni fanno fatica anche a lavorare. Non avevano individuato i problemi di mio suocero e probabilmente se lo avessimo lasciato li non sarebbe tornato vivo a casa. Ora capisco anche le persone che arrabbiate arrivano alle mani, anche se non le giustifico.
Scrivo prima di tutto per mettere a conoscenza tutti di questa situazione e quindi di valutare nel caso si abbia bisogno del PS, secondo perché spero che si riesca facendo rete ad aiutare a migliorare questa situazione. Almeno prima c’era la possibilità di fare volontariato negli ospedali, ora penso non sia possibile nemmeno più questo.
La lettera della nostra lettrice è una testimonianza certamente non isolata, per quanto drammatica.
La sanità pubblica è al collasso: 4 milioni di italiani rinunciano a curarsi perché non se lo possono permettere, i Pronto soccorsi sono sempre intasati, la medicina territoriale inefficace. I tempi di attesa per esami importanti si allungano in ogni regione, interventi urgenti vengono procrastinati, della medicina preventiva si sono perse le tracce, anzi è sostituita con la diagnosi precoce, che è tutt’altro. Il taglio delle risorse alla sanità previsto nel Def prosegue: dal 7% del Pil nel 2022 al 6,2% del 2025.
Stiamo perdendo il diritto costituzionale alla salute. La crisi del Servizio sanitario nazionale in atto è alimentata dalla privatocrazia, dalla glorificazione del profitto.
In un recente articolo pubblicato dal titolo “Salve Lucrum (benvenuto profitto)” si denuncia l’avidità nell’assistenza sanitaria americana, sostenendo che «…se da un lato il profitto può svolgere un ruolo nel motivare l’innovazione e migliorare la qualità delle cure», dall’altro «in sanità i comportamenti cleptocapitalistici che portano all’aumento dei prezzi, dei salari e del potere del mercato, finiscono poi per danneggiare i pazienti, le loro famiglie, le istituzioni e i programmi governativi. Questi comportamenti, per lo più legali, ma comunque sbagliati, hanno raggiunto un livello tale da costituire una minaccia all’esistenza di un sistema sanitario sostenibile, equo e compassionevole».
Salve Lucrum, cioè “Benvenuto profitto” è scritto in un mosaico del pavimento dell’atrio di una casa emersa negli scavi di Pompei. Oggi quel mosaico sarebbe una decorazione appropriata in molti degli atri delle strutture di assistenza sanitaria. La privatizzazione dei sistemi sanitari pubblici non riguarda solo gli USA, è in corso anche da noi, con i privati che sostituiscono l’intervento pubblico in settori sempre più ampi.
Nessun settore dell’assistenza sanitaria è immune dalla ricerca smodata del profitto, né le compagnie farmaceutiche, né gli assicuratori, né gli ospedali, né gli investitori, né gli studi medici.
Ripartiamo allora dall’articolo 32 della Costituzione, secondo cui è la Repubblica a dover tutelare la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Un diritto fondamentale oggi disatteso: il benessere della popolazione è alla mercè della concorrenza e de libero mercato, alimentando un sistema fondato sui bilanci e sugli utili e non sui bisogni dei cittadini.
Tra tre giorni alcune associazioni laiche e cattoliche, insieme alla Cgil, hanno deciso di lanciare una mobilitazione a partire dall’emergenza sanità pubblica. Ci asteniamo dal ricordare gli errori e le complicità di alcune di esse nella folle gestione della pandemia e della contiguità con i partiti responsabili della situazione attuale.
A noi interessa riaffermare oggi i diritti costituzionali negati e traditi perché nessuno sia costretto a vivere esperienze come quelle descritte dalla nostra lettrice, perché nessuno sia lasciato solo.