In Italia, quasi la metà (42%) dei bambini dai 5 a 9 anni è in sovrappeso o obeso, e quasi 1 su 3 (34,2%) dei ragazzi dai 10 ai 19 anni. Siamo al 1° e al 4° posto rispettivamente, secondo l’European Regional Obesity Report 2022 dell’OMS.

Il rapporto mostra che 1 bambino su 3 in età scolare è in sovrappeso/obeso nella regione europea dell’OMS, che copre 53 paesi in Europa e Asia centrale, e le prospettive sono di un ulteriore aumento.

Queste patologie non hanno risentito minimamente delle misure di contrasto adottate sinora. Sulla base delle tendenze attuali, il World Obesity Atlas 2023 della World Obesity Federation prevede che tra il 2020 e il 2035 ci saranno:

  • un aumento del 61% del numero di ragazzi obesi
  • un aumento del 75% del numero di ragazze obese.

Nel 2035 avremo 17 milioni di ragazzi e 11 milioni di ragazze di età compresa tra 5 e 19 anni che conviveranno con la loro obesità.

E’ una vera e propria emergenza sanitaria, ben più pericolosa di altre, che pure hanno suscitato allarme e attenzioni. Sovrappeso e obesità sono tra le principali cause di morte e disabilità nella Regione. Si stima che causino più di 1,2 milioni di morti all’anno, corrispondenti a più del 13% della mortalità totale. L’obesità aumenta il rischio di molte malattie non trasmissibili (NCD), comprese le malattie cardiovascolari, il diabete di tipo 2 e le malattie respiratorie croniche. L’obesità è anche considerata una causa di almeno 13 diversi tipi di cancro ed è probabile che sia direttamente responsabile di almeno 200.000 nuovi casi di cancro all’anno in tutta la Regione.

Sotto la spinta della First Lady croata Dr Sanja Musić Milanović  sono scesi in campo i coniugi di 16 leader europei per lanciare una rete sulla prevenzione dell’obesità infantile nella Regione Europea dell’OMS. Al termine del vertice è stata adottata all’unanimità la Dichiarazione di Zagabria, con suggerimenti per contrastare l’obesità infantile.

L’obesità è una patologia complessa, influenzata da diversi fattori come la genetica, l’ambiente e lo stato socioeconomico, e nessun intervento singolo riesce a contrastarla efficacemente. Occorre un impegno politico complesso, che riduca innanzitutto le disuguaglianze socio-economiche e che sia in grado di incidere sulla cultura delle famiglie per orientarne opportunamente i consumi e lo stile di vita.

I bambini e i ragazzi italiani ed europei crescono sempre più in ambienti che rendono molto difficile per loro mangiare bene ed essere attivi, soprattutto se vivono in famiglie con difficoltà socio-economiche.

L’OMS/Europa ha individuato 3 azioni per contrastare l’epidemia di sovrappeso e obesità:

1) Prevenzione: per ridurre l’obesità infantile occorre fornire strumenti sin dalla gravidanza, favorendo l’allattamento esclusivo al seno nei primi 6 mesi e prolungandolo nei primi 2 anni di vita del bambino. La prevenzione dovrebbe concentrarsi su una buona alimentazione in tutte le fasi della vita di un bambino, nei consumi familiari, nelle scuole e nella comunità in generale.

2) Regolamentare l’industria alimentare e delle bevande. Le politiche più efficaci per affrontare l’obesità infantile includono l’imposizione di una tassa sulle bevande zuccherate, la richiesta di un’etichettatura chiara sulla parte anteriore della confezione e la limitazione della commercializzazione di cibi malsani ai bambini.

3) Promuovere l’attività fisica. Una migliore progettazione urbana e politiche adeguate di trasporto, inserimento dell’attività fisica nel curriculum scolastico e attività extrascolastiche e messaggi chiari per supportare stili di vita attivi durante tutto il corso della vita sono il terzo pilatro di lotta all’obesità.

Buoni propositi, indubbiamente, noti da tempo, che si scontrano con un convitato (è proprio il caso di dirlo) che siede a capotavola ed esercita il suo potere quotidiano: l’industria alimentare. Se queste politiche non vengono portate avanti con decisione è per la potenza delle multinazionali del cibo che si proteggono usando gruppi di facciata, lobby, promesse di autoregolamentazione, azioni legali [contro i governi che introducono misure per proteggere la salute dei cittadini], ricerca finanziata dall’industria che confonde l’evidenza e crea il dubbio nei consumatori, e poi regali, borse di studio, donazioni per cause nobili per dipingersi rispettabili di fronte ai consumatori e ai politici.

L’epidemia di obesità non è determinata semplicemente dal “mangiare troppo” e dal “muoversi poco”: “quello che si mangia” è altrettanto importante rispetto a “quanto si mangia”. A partire dall’inizio degli anni ’80 il peso medio di un adulto americano è aumentato di 1,5 kg all’anno, e un fattore chiave di questo incremento è il consumo di cibi processati. Esistono prove scientifiche che l’uso regolare di bevande zuccherate determina l’aumento del peso corporeo e che il consumo di zucchero pro-capite è fortemente associato con la prevalenza di diabete. Obesità, ipertensione arteriosa, sindrome metabolica e dislipidemia sono associate all’uso di cibi ultra-processati, che rappresentano l’80% delle vendite globali. Le dieci grandi multinazionali di cibo e bevande – le cosiddette Big Food e Big Drink – sono parte di un’industria valutata in 7000 miliardi di dollari e un settore che rappresenta circa il 10% dell’economia globale. Queste aziende hanno tutto l’interesse a dimostrare che l’epidemia di obesità non è causata dai loro prodotti, come molti anni fa Big Tobacco sosteneva l’innocuità del fumo di sigarette.

La ricerca e l’educazione sul cibo e sulla nutrizione sono facilmente influenzate dai finanziamenti di Big Food e Big Drink. Ad esempio, un articolo del New York Times descrisse il supporto finanziario della Coca-Cola al Global Energy Balance Network, un’organizzazione accademica con l’obiettivo di promuovere l’attività fisica come il metodo più efficace di controllo calorico per prevenire l’obesità, evitando però accuratamente di prendere posizione sull’eccessiva assunzione di calorie tramite le bevande zuccherine. Un secondo esempio deriva da un’analisi dei conflitti di interesse della più nota associazione scientifica americana nel campo della nutrizione, l’American Society for Nutrition (ASN). L’ASN, che ha molteplici legami finanziari con l’industria del cibo e delle bevande, detta le linee guida americane e informa i media e il pubblico tramite l’American Journal of Clinical Nutrition, una delle principali riviste scientifiche nel campo della nutrizione. Per farsi un’idea dell’influenza di Big Food e Big Drink, basti pensare che nel 2014, in una stagione in cui i prodotti delle multinazionali venivano messi sotto accusa, ed esattamente a un mese di distanza dalla raccomandazione introdotta dal Brasile di mangiare cibi freschi, limitando quelli processati ed evitando le catene di fast food, la rivista pubblicò un documento scientifico di 18 pagine, “Processed foods: contributions to nutrition”, che prese le difese dei cibi altamente processati.

Un secondo ambito di influenza di Big Food e Big Drink è la ricerca scientifica sugli effetti del consumo dei loro prodotti sulla salute. Le multinazionali del cibo sono gli sponsor maggiori della ricerca e, così come accade con gli studi sui farmaci finanziati dalle aziende farmaceutiche, ci sono prove che gli studi sponsorizzati dalle multinazionali dell’industria alimentare forniscano risultati a favore del punto di vista dell’azienda. Ad esempio, le revisioni sponsorizzate dalle multinazionali sugli effetti degli zuccheri aggiunti hanno una probabilità di concludere che non c’è associazione tra consumo di zucchero e incremento del peso corporeo cinque volte maggiore rispetto a quelle di altri sponsor. Un’analisi sul rapporto tra dolcificanti artificiali e aumento di peso mostra che le revisioni sponsorizzare da Big Drink danno un risultato favorevole all’azienda diciassette volte maggiore rispetto a revisioni indipendenti.

Oltre a influenzare la ricerca scientifica e l’informazione al pubblico, un terzo livello in cui è presente l’influenza delle multinazionali del cibo sono i tavoli in cui si discutono le politiche internazionali di salute pubblica. Nell’ottobre del 2017, l’Organizzazione Mondiale della Sanità organizzò a Montevideo una conferenza con l’obiettivo di elaborare una roadmap per il controllo delle malattie non trasmissibili. La potenza dell’industria è tale che nella bozza si propose la tassazione di tabacco, alcol e bevande zuccherate, nel documento finale rimasero solo le tasse sul tabacco. Il parere negativo nei confronti delle altre due tasse provenne soprattutto da Big Food e Big Drink. Che sia necessario l’impegno di tutti per il controllo delle malattie non trasmissibili è ovvio, ma ciò non vuol dire far sedere le multinazionali ai tavoli in cui si decidono le politiche riguardanti la salute. Per ridurre l’epidemia di sovrappeso e obesità e le conseguenze sull’ambiente, l’unico meccanismo di provata efficacia sono interventi sul mercato con politiche economiche di regolamentazione, che sono mancate e hanno permesso a Big Food e Big Drink di fare ciò che volevano. I padroni del cibo non devono più avere un ruolo nelle politiche nazionali e internazionali e i partner pubblici devono rimanere vigili e cauti nei riguardi delle possibili distorsioni, e devono valutare vantaggi e svantaggi delle opportunità di collaborazione.

L’ industria alimentare sta provocando danni enormi alla salute, favorendo il consumo di alimenti industriali a scapito del cibo “vero”, a basso contenuto di zucchero e ricco di fibre e micronutrienti.

Il cibo vero è ciò che il mondo ha mangiato per millenni con basso rischio di malattie croniche, ed è quello che le multinazionali dell’industria alimentare non venderanno mai.

 

FONTE: http://www.nograzie.eu/i-conflitti-di-interesse-dellindustria-alimentare/