I ricavi di Pfizer nel 2022 sono stati pari a 100,33 miliardi di dollari (92,63 miliardi di euro), in crescita del 23%, con un utile netto salito del 43% a 31,37 miliardi di dollari, mentre quello per azione del 62% a 6,58 dollari (6,07 euro). Tutto merito di Paxlovid e Comirnaty, l’antivirale e il vaccino contro la COVID-19, dal momento che l’aumento dei ricavi per gli altri farmaci è solo del 2%.
Le previsioni per il 2023 stimano ricavi tra i 67 e i 71 miliardi di dollari (tra 61,86 e 65,55 miliardi di euro) e un utile per azione tra 3,25 e 3,45 dollari (fra 3 e 3,19 euro). Senza tener conto dei prodotti Covid, l’azienda stima che i ricavi per l’intero anno possano crescere tra il 7% e il 9% rispetto al 2022.
Dal momento che i farmaci contro il virus incidono pesantemente sui bilanci della multinazionale, Pfizer prevede un calo di ricavi da vaccini del 64%, pari a circa 13,5 miliardi di dollari per il 2023 a causa della ridotta propensione a continuare a farsi vaccinare. Forse è anche per questo che i produttori di vaccini intenderebbero trattenere 1,4 miliardi di acconto versati dai Paesi ricchi per fornire dosi ai Paesi poveri.
La domanda globale di vaccini contro COVD si è ridotta, e i gestori del programma responsabile della vaccinazione dei paesi poveri del mondo ha avviato trattative urgenti per cercare di rinegoziare gli accordi contratti con le aziende farmaceutiche per i vaccini non più necessari. La risposta segue la logica del profitto: le aziende farmaceutiche hanno finora rifiutato di rimborsare i 1,4 miliardi di dollari di pagamenti anticipati per dosi ora annullate, secondo i documenti riservati ottenuti dal New York Times.
GAVI, the Vaccine Alliance è una partnership pubblico-privata creata nel 2000 allo scopo di diffondere nei paesi poveri i programmi di immunizzazione e accelerare l’accesso ai nuovi vaccini. Ha acquistato i vaccini per conto del programma globale di vaccinazione Covid, COVAX Facility, lanciato dalle Nazioni Unite e dai suoi partner e definita “la più grande operazione di acquisizione e fornitura di vaccini nella storia”. Nonostante non abbia comunicato i costi della cancellazione degli ordini, risulta che l’organizzazione abbia cercato di contenere i danni finanziari. Ma i negoziati sono andati male fin dall’inizio: dapprima le aziende hanno escluso l’organizzazione dalle vendite, dando la priorità ai Paesi ad alto reddito che potevano pagare di più, e solo alla fine del 2021 Gavi ha raggiunto accordi con nove produttori e ha iniziato a distribuire i farmaci ai Paesi in via di sviluppo in numero significativo. Nel momento in cui Gavi ha avuto un flusso costante di forniture, la domanda ha iniziato però a diminuire: i Paesi con sistemi sanitari fragili hanno faticato a consegnare le fiale di vaccini e la predominanza della variante Omicron, più mite, ha ridotto la motivazione delle persone a farsi vaccinare. Così, l’obiettivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di vaccinare il 70% della popolazione di ogni Paese non si è realizzato.
I produttori di vaccini hanno guadagnato più di 13 miliardi di dollari dalle vaccinazioni distribuite attraverso il programma Covax. In base ai contratti, le aziende non sono obbligate a restituire i pagamenti anticipati per ordini che Gavi ora vorrebbe annullare. Alcuni esperti di salute pubblica hanno criticato le azioni delle aziende farmaceutiche perché esse avrebbero “una responsabilità particolare” dal momento che i loro prodotti sono un bene per la società e le vaccinazioni sono state sviluppate in gran parte grazie a finanziamenti pubblici, come ha dichiarato Thomas Frieden, direttore generale dell’organizzazione no-profit per la salute globale Resolve to Save Lives ed ex direttore dei Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie.
Gavi ha raggiunto accordi con Moderna, il Serum Institute of India e diversi produttori cinesi per annullare gli ordini delle dosi non più necessarie, risparmiando circa 700 milioni di dollari, ma un’altra azienda farmaceutica, la Novavax, si rifiuta di rimborsare i 700 milioni di dollari di pagamenti anticipati per vaccinazioni disdette. E’ in corsa un’aspra disputa con altra azienda produttrice, la Johnson & Johnson che non intende cedere; la multinazionale pretende il pagamento delle vaccinazioni che Gavi avrebbe disdetto mesi addietro, ma che l’azienda ha comunque prodotto. Johnson & Johnson chiede ora che Gavi paghi una somma aggiuntiva, non rivelata, per tali vaccinazioni. Gavi aveva un rapporto di fornitura indiretto con Pfizer; l’amministrazione Biden aveva acquistato un miliardo di dosi da donare attraverso Covax. L’anno scorso gli Stati Uniti hanno rivisto l’accordo con l’azienda, convertendo un ordine di 400 milioni di dosi in opzioni future. L’azienda ha dichiarato di non aver addebitato alcun costo per la modifica dell’ordine. I termini degli accordi di Gavi sono stati tenuti segreti perché contratti con aziende private. Non è stato reso pubblico quanto le singole aziende farmaceutiche abbiano guadagnato dai vaccini cancellati. Secondo i documenti esaminati dal giornale, i produttori hanno guadagnato collettivamente 13,8 miliardi di dollari con i vaccini distribuiti attraverso la Covax, con una fornitura di quasi 1,9 miliardi di dosi a 146 Paesi. Più della metà sono state acquistate direttamente da Gavi, il resto è stato donato dai Paesi ad alto reddito. Anche questi Paesi hanno ordinato molte più dosi di quelle necessarie, e hanno cercato di scaricare le proprie eccedenze sulla Covax, che ha faticato ad assorbirle. In Italia sarebbero state inutilizzate ben 122 milioni di dosi. Considerando un prezzo medio tra i 16 e i 19,5 euro a dose (come ipotizzato da questa inchiesta, dal momento che il contenuto dei contratti con le case farmaceutiche è rimasto per lo più segreto), lo spreco si aggira tra gli 1,9 e i 2,3 miliardi di euro.
I ritardi nella distribuzione dei vaccini nei Paesi in via di sviluppo, gli atteggiamenti di diffidenza nei confronti delle vaccinazioni, la modesta gravità di omicron, l’inefficienza dei sistemi sanitari locali hanno prodotto la bassa richiesta di vaccinazioni. L’Africa subsahariana rimane la regione meno vaccinata al mondo, ma i tassi di mortalità per Covid riportati nella regione sono stati relativamente bassi, il che ha ulteriormente eroso l’interesse per i vaccini.
L’acquisto anticipato di enormi quantità di farmaci antivirali e vaccini era già accaduto in occasione della pandemia influenzale detta suina, da virus A (H1N1), con un giro di affari valutato dalla banca JP Morgan tra i 5,8 e i 8,3 miliardi di euro nel 2010. Briciole rispetto alla montagna di denaro che è entrata in campo in questa nuova pandemia. Mesi dopo emerse come alcuni esperti che elaborarono le linee guida dell’Oms per le pandemie avessero legami di interesse con gli industriali. Le raccomandazioni vennero scritte da quattro esperti in collaborazione con il «Gruppo di lavoro europeo sull’influenza» (Eswi). «Ciò che questo documento non rivelava è che l’Eswi è interamente finanziato da Roche e dagli altri produttori di vaccini e che due degli esperti, René Snacken e Daniel Lavanchy, l’anno prima avevano partecipato a eventi finanziati da Roche», scrissero i giornalisti britannici Deborah Cohen e Philip Carter, citando diversi altri esperti coinvolti in documenti strategici dell’Oms, che erano portatori di conflitti d’interessi con i produttori di Tamiflu della Roche o Relenza di GlaxoSmith Kline.
E’ la mancanza di trasparenza, di assunzioni di responsabilità, di autocritica che autorizza a pensare che la scelta delle politiche vaccinali adottate non sia stata solo un errore politico prima che scientifico, ma che nasconda ben altre motivazioni.