I vaccini sono medicinali biologici che hanno lo scopo di prevenire una malattia infettiva, scrive l’AIFA.  Simulano il primo contatto con l’agente infettivo evocando una risposta immunologica (immunità umorale e cellulare) simile a quella causata dall’infezione naturale, senza però causare la malattia e le sue complicanze, secondo Epicentro. I vaccini consentono di prevenire la diffusione di malattie, secondo il professor Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas.

Non è sufficiente che i vaccini inducano una “risposta anticorpale”, bisogna che gli anticorpi prodotti abbiano la capacità di prevenire sia l’infezione e quindi la malattia, sia la trasmissione del virus e quindi i contagi.

I preparati attualmente in uso contro la COVID-19 non prevengono né l’infezione, né impediscono la trasmissione del virus, e pertanto definirli “vaccini” è improprio perché sono piuttosto degli strumenti terapeutici atti a ridurre la gravità della malattia per un periodo limitato di tempo, una sorta di cura preventiva che, per qualche mese, può evitare il ricovero in terapia intensiva e il rischio di decesso.

Il termine “vaccinato” andrebbe sostituito con “inoculato”.

Grande è la confusione sotto il cielo, ma la situazione non è eccellente

L’obiettivo iniziale della campagna di inoculazione era di azzerare i decessi e ridurre i ricoveri, in particolare nelle terapie intensive. Le somministrazioni sono iniziate da anziani e soggetti fragili, per i quali il beneficio era maggiore, usando i prodotti più efficaci e richiedenti un minor tempo per completare il ciclo, quelli di Pfizer/BioNTech e Moderna. Quelli a vettore virale AstraZeneca sono stati riservati agli adulti più giovani, per i quali il rischio di complicanze da Covid-19 era meno frequente ed era più ampio l’intervallo di tempo per completare l’iter. A causa delle inadempienze contrattuali di AstraZeneca e soprattutto per l’emergere dai dati della farmacovigilanza mondiale di casi di trombosi, spesso fatali, in soggetti relativamente giovani inoculati con AstraZeneca, tra ritardi ed aggiustamenti continui, si è proceduto con un maggior utilizzo del Pfizer/BioNTech, la cui fornitura è stata incrementata…insieme al prezzo.

Nonostante fossero noti i rischi legati all’utilizzo dell’AstraZeneca e la “raccomandazione” di AIFA per un suo uso sopra i 65 anni, dalla metà di maggio sono stati organizzati gli “Open Day vaccinali” proprio con quel prodotto, rivolti prevalentemente ai giovani che altrimenti avrebbero dovuto attendere più a lungo il proprio turno secondo la priorità per età stabilita dal piano nazionale. Gli Open Day sono stati accolti con molto favore, come lasciapassare per un ritorno alla vita sociale, con il CTS che negava l’esistenza di ostacoli formali (in effetti il farmaco è registrato per l’uso dai 18 anni in poi) senza menzionare la precedente “raccomandazione” AIFA, e nel silenzio dei responsabili del programma nazionale di inoculazione. Si sono verificati eventi gravi e anche fatali in persone giovani inoculate con AstraZeneca che hanno prodotto un nuovo cambio di rotta: il Ministero della Salute ha stabilito che ai giovani adulti verrà ora offerto solo uno dei due prodotti a mRNA attualmente autorizzati, mentre la somministrazione di AstraZeneca o Janssen verrà riservata agli anziani. Infine, è stata concessa l’approvazione per i 12 – 17enni, con l’obiettivo di raggiungere il maggior numero possibile di inoculazioni entro l’inizio della scuola. Il calendario per la somministrazione alla fascia di età 5–11 è stato accelerato: il proposito è di iniziare alla fine del 2021, e c’è la concreta possibilità che i bambini di sei mesi possano iniziare ad essere inoculati all’inizio del 2022.

Insomma, seguendo le più collaudate strategie di marketing, si è allargata la platea dei consumatori, coinvolgendo i più giovani per i quali i benefici di salute sono decisamente inferiori, anzi è corretto affermare che per i ragazzi i rischi sono superiori ai benefici.

Gli adolescenti e i ragazzi, quando si infettano con il SARS-CoV-2, presentano in genere manifestazioni lievi o sono asintomatici, rischi di ricovero in ospedale molto ridotti, quelli di morte minimi e riguardanti di regola soggetti fragili. Identificare i bambini come “serbatoi” del virus è offensivo, oltre che falso. La contagiosità degli adulti che si infettano dura in media 7 giorni dalla comparsa dei sintomi più 2 giorni prima dell’esordio. Una ricerca sistematica non ha mai trovato virus vivi e capaci di riprodursi dopo la 9° giornata in nessuno degli studi, anche se l’emissione di frammenti di RNA poteva in qualche caso durare diverse settimane. Nei bambini, spesso asintomatici o paucisintomatici, la durata di contagiosità sembra inferiore a quella degli adulti: dunque circa una settimana (o poco più). Se un bambino non si è infettato, non è contagioso mai, né tanto meno può essere un “serbatoio”. Se si è infettato, può contagiare (di regola meno rispetto agli adulti per una settimana al massimo), e poi diventa immune, non un “serbatoio”.

I rischi della inoculazione

Purtroppo, non abbiamo dati provenienti da ampi programmi di sorveglianza attiva, possiamo comunque affermare che la inoculazione espone ragazzi e adolescenti a rischi di reazioni ed eventi avversi frequenti e anche severi

  • immediati e noti, come reazioni avverse nella prima settimana: ad es. 1,5% di dolore locale grave [severe, disabilitante] nella fascia 12-15 anni, 3,4% nella fascia 16-21, come risulta dallo studio pubblicato sul NEJM
  • come pure a 1 evento avverso grave nello 0,6% , cioè 1 ogni 167 vaccinati da 12 a 15 anni, e nell’1,7%, cioè 1 ogni 59 vaccinati da 16 a 25 anni)

La sorveglianza attiva registra centinaia di volte più reazioni avverse di quanto riporti l’AIFA, che nel suo 8° Rapporto parla di 119 segnalazioni ogni 100.000 abitanti, in totale contraddizione con quanto riportato dai trial effettuati dagli stessi produttori dei vaccini.

Il programma di sorveglianza (semi)attiva del V-safe, programma attivato dai CDC americani, le reazioni avverse locali ai vaccini a mRNA sono:

    • Pfizer:                   67.000 per 100.000 dosi;
    • Moderna:             78.000 per 100.000 dosi.

Le reazioni avverse sistemiche ai vaccini a mRNA sono:

    • Pfizer:                   56.000 per 100.000 dosi
    • Moderna:             63.000 per 100.000 dosi

Dunque, nell’insieme circa 500 volte maggiori di quanto mostrato dal Rapporto AIFA.

Le reazioni avverse gravi, (severe = temporaneamente inabilitanti) come definite a livello internazionale, dopo la seconda dose sono (sempre dal Programma V-safe dei CDC):

Incapaci di svolgere le normali attività quotidiane

12-15 anni               25,4%           oltre 577.000 ragazzini

16-25 anni               25,7%           oltre 1.501.000 ragazzi/giovani.

Hanno richiesto assistenza medica in dipartimento emergenza o in ospedale: 12-25 anni, prima e seconda dose, 0,1% + 0,2% (0,3%) pari a oltre 24.300 interventi e ricorso a cure mediche:

  • 12-15 anni, prima e seconda dose, 1,2% pari a oltre 27.000 interventi;
  • 16-25 anni, prima e seconda dose, 1,3% pari a oltre 76.000 interventi.

Riguardo agli eventi avversi a medio e lungo termine ancora non emersi (come è stato per i 1.300 casi di narcolessia in bambini e adolescenti in Europa causati dal vaccino contro l’influenza suina Pandemrix), possiamo solo ricordare che ormai il nesso di causalità tra vaccini a m RNA e miocarditi è stabilito, essendo stato inserito nella scheda tecnica del farmaco sia da enti regolatori statunitensi che europei. La frequenza non è ancora stata accertata, fonti israeliane parlano di 1 caso ogni 3.000-6.000 vaccinati tra i giovani maschi. La correlazione con altre patologie, come ad esempio la sindrome di Guillian-Barré non è stata ancora definita.

Il New England Journal of Medicine ha pubblicato i risultati del RCT condotto da Moderna sugli adolescenti tra 12 e 17 anni di età, dopo che dell’EMA (23 luglio ‘21) ha deciso di approvare ad uso emergenziale il farmaco.

I rischi di reazioni avverse locali associati alla inoculazione degli adolescenti e riportati con sorveglianza attiva sono nella prima settimana circa del 95% e sono più dell’86% le reazioni avverse sistemiche.

Le reazioni avverse inabilitanti gravi, ossia di grado 3 (per almeno 4 giorni e fino a oltre i 7 giorni), si sono verificate nel 6,8% dopo la 1° dose e nel 8,9% dopo la 2° dose. Senza addentrarsi in statistiche più precise, la maggior parte dei ragazzi con reazione di grado 3 hanno manifestato il sintomo di “affaticamento grave”, tuttavia, né lo sponsor né FDA o EMA li hanno sottoposti ad accertamenti diagnostici (es. troponina, ecografia cardiaca) per capire quanti di questi nascondessero qualche forma di miocardite o pericardite. Ci sono state, in aggiunta, 3 reazioni molto gravi (Grado 4): iperpiressia, mal di testa e vomito di grande violenza, che hanno richiesto l’accesso ospedaliero al Dipartimento di urgenza/emergenza o in ricovero.

Difficile comprendere cosa serva di più per interrompere subito l’inoculazione dei ragazzi. Il buonsenso, almeno, ma se ne sono perse le tracce.