Il gruppo consultivo strategico di esperti sulle vaccinazioni dell’OMS (SAGE) ha emesso il 28 marzo un comunicato stampa in cui annuncia di avere rivisto le priorità all’uso dei vaccini COVID-19, in base alla diffusione delle varianti di Omicron e all’elevata immunità della popolazione dovuta a una pregressa infezione e alle vaccinazioni. 

E’ stata confermata l’importanza di proteggere i soggetti a maggior rischio di morte e malattie gravi dall’infezione da SARS-CoV-2 -non ne dubitavamo – e quella di mantenere alta la guardia con misure idonee a garantire la tenuta dei sistemi sanitari. La novità è rappresentatala dal fatto che è stato rivalutato il rapporto costo-efficacia della vaccinazione COVID-19 per le persone a basso rischio, vale a dire i bambini e gli adolescenti sani di età compresa tra 6 mesi e 17 anni. Finalmente, l’OMS esorta i paesi che prendono in considerazione la vaccinazione in questa fascia di età, a basare le loro decisioni su fattori contestuali, come il carico di malattia, l’efficacia in termini di costi e di opportunità.

Gli esperti sono giunti a quelle conclusioni che noi da tempo sosteniamo, che ci avevano indotto a richiedere una moratoria all’uso dei vaccini pediatrici sin dal 6 maggio 2021, ribadito nel marzo 2022, e che altri paesi, come Danimarca, Svezia e Regno Unito hanno già da tempo messo in pratica.

“I paesi – ha affermato la dott.ssa Hanna Nohynek, presidente di SAGE – dovrebbero valutare in base al loro specifico contesto se continuare a vaccinare i gruppi a basso rischio, come bambini e adolescenti sani, senza che ciò comprometta le vaccinazioni di routine che sono cruciali per la salute e il benessere di questa fascia di età”.

Omicron si è confermato essere un virus più contagioso e meno aggressivo rispetto alle varianti precedenti. Nei bambini senza malattie croniche determina infezioni asintomatiche sino al 75% dei casi, lievi o molto lievi.

Inoltre, secondo i dati ISS, i bambini da 5 a 11 anni con due dosi di vaccino si infettano il 45% in più rispetto ai non vaccinati; i giovani 12-39 anni con due dosi + booster si infettano il 44% in più rispetto ai non vaccinati.

Una delle motivazioni sostenute a favore della vaccinazione universale dei bambini era il rischio di Long Covid, che noi definimmo una forzatura, considerando i modesti sintomi che si presenterebbero, peraltro comuni a tante altre forme virali.

Una conclusione definitiva su questa “complicazione” dell’infezione da SARS-CoV-2 è fornito da un recente studio norvegese sul post-COVID nei bambini e nei giovani adolescenti.    La ricerca ha incluso 382 soggetti positivi al SARS-CoV-2 e un gruppo di controllo di 85 negativi al SARS-CoV-2 di età compresa tra 12 e 25 anni sottoposti a un esame clinico, test funzionali polmonari, cardiaci e cognitivi, analisi immunologiche e di biomarcatori di danno d’organo, compilazione di un questionario e seguiti sino a 6 mesi.

I risultati principali sono stati:

  1. l’incidenza della Condizione post-COVID-19 (PCC) 6 mesi dopo aver contratto la COVID-19 era di circa il 50%, e valori simili sono stati riscontrati in soggetti che non si erano ammalati di COVID-19;
  2. la COVID-19 acuta non è un fattore di rischio per sviluppare la PCC;
  3. la gravità dei sintomi clinici al tempo basale dell’osservazione, indipendentemente dal riscontro o meno del SARS-CoV-2, era il principale fattore di rischio dei sintomi persistenti 6 mesi dopo.

Già un altro ampio studio non aveva trovato associazioni tra i sintomi fisici persistenti dopo la COVID-19 e l’evidenza sierologica dell’infezione da SARS-CoV-2, concludendo che la sintomatologia presente a distanza di tempo non dovrebbe essere automaticamente attribuita al SARS-CoV-2.
La COVID-19 lieve non sembra essere la causa della maggior parte dei sintomi persistenti in questa fascia di età, che andrebbero imputati al fatto che tali sintomi, ritenuti tipici del PCC, sono in realtà diffusi e comuni nella popolazione generale. Il sintomo “affaticamento” è presente tra il 34% e il 38% degli adolescenti britannici, così come i sintomi “dispnea” e “problemi di memoria”. Inoltre, diversi studi hanno documentato un aumento significativo del disagio psicologico nella popolazione durante la pandemia, soprattutto tra i giovani, e questo può influenzare i sintomi fisici. I fattori di stress non specifici, in aumento durante la pandemia, che hanno colpito in modo simile sia gli individui SARS-CoV-2-positivi che quelli SARS-CoV-2-negativi, possono essere importanti per la persistenza dei sintomi e la disabilità che causano. La loro gravità è correlata ai tratti della personalità.

“I sintomi persistenti e le disabilità che caratterizzano la PCC sono associati a fattori diversi dall’infezione da SARS-CoV-2, compresi i fattori psicosociali, che dovrebbero essere presi in considerazione quando vengono attuate misure di contrasto al contagio come i lockdown”.

Ora, davvero, basta con le vaccinazioni contro la COVID-19 ai bambini!