Ci sono diverse ombre sulla produzione scientifica del ministro della salute Orazio Schillaci, l’ex-rettore dell’università di Tor Vergata.

Ci sono almeno 8 pubblicazioni scientifiche firmate dal ministro tra il 2018 e il 2022 nel campo dell’oncologia caratterizzate da anomalie evidenti. Si tratta di immagini di cellule esaminate al microscopio elettronico e «riciclate» in diverse pubblicazioni scientifiche internazionali per illustrare esperimenti diversi da quelli in cui erano state ottenute in origine.

La duplicazione delle immagini per illustrare esperimenti mai realizzati è una delle manipolazioni più frequenti nei casi dimostrati di frode scientifica. Sebbene sia impossibile stabilire le eventuali responsabilità del ministro in queste pubblicazioni sospette, risulta evidente che, nel suo ruolo di supervisore, toccava a lui vigilare sulla correttezza degli studi realizzati – anche con la sua firma – dal suo gruppo di ricerca.

Come scrive Andrea Capocci su Il manifesto: “Schillaci ha dimostrato un notevole talento per il multi-tasking. Pur svolgendo incarichi gravosi come quello di preside della facoltà di medicina, di rettore, di presidente della fondazione Policlinico di Tor Vergata e adesso di ministro, Schillaci non ha mai smesso di guidare il suo laboratorio universitario”. Oltre a questo bisogna aggiungere anche la sua attività di investitore in ambito farmaceutico senza velare troppo i suoi conflitti d’interesse.

Secondo la banca dati Google Scholar risulta autore, insieme ai suoi collaboratori di 44 pubblicazioni scientifiche nel 2019, 40 ricerche nel 2020, 30 nel 2021, 40 nel 2022 e una 30ina nel 2023, anno che ha trascorso interamente al Governo. Secondo i dati avrebbe pubblicato una ricerca ogni 9 giorni, ferie e Consigli dei ministri inclusi, per un totale di oltre 400 pubblicazioni scientifiche nel suo invidiabile curriculum.

Sebbene dirigere un laboratorio universitario mentre si è al governo è abbastanza difficile, Schillaci dichiara di essere, in 5 casi su 8, il «supervisore», l’«ideatore», il «convalidatore» delle ricerche e di aver partecipato alla stesura delle pubblicazioni. In 4 studi è anche il «corresponding author», ovvero il più esperto incaricato di spiegare i contenuti della ricerca ai colleghi o ai media. Domanda sorge spontanea: come può vigilare su errori o manipolazioni delle ricerche dei propri collaboratori se nel frattempo è impegnato in altro?

Infatti, un’inchiesta approfondita fatta dallo stesso Capocci per Il manifesto, evidenzia alcuni studi pubblicati dal ministro della salute Orazio Schillaci nel 2018 al 2022 e ne elenca gli errori, anomalie e immagini utilizzate più volte per illustrare esperimenti diversi.

Scambiare due immagini al microscopio in una pubblicazione scientifica ne mette inevitabilmente in discussione la validità, anche se non segnala necessariamente una frode. Perché può capitare a tutti di sostituire un file per errore.” – scrive Capocci – “Quando la distrazione si ripete troppo spesso, tuttavia, dovrebbe scattare un campanello d’allarme in chi guida un laboratorio: tra i collaboratori potrebbe essercene uno troppo distratto o disonesto, a meno che tutta l’équipe non sia connivente con una vera e propria truffa.”

Il riciclo delle immagini infatti è uno dei metodi più utilizzati per truccare le ricerche scientifiche. “La tentazione di ricorrervi viene quando un esperimento non ha dato il risultato sperato, oppure non è stato proprio realizzato: invece di ammettere il fallimento, un ricercatore poco onesto può fingere che le cose siano andate per il verso giusto usando come riprova un’immagine ottenuta in tutt’altro contesto e opportunamente modificata” – scrive il giornalista de Il manifesto.

Perché lo fanno se dopo qualcuno indaga e scopre la verità? Perché la probabilità che qualcuno controlli e scopra la truffa è veramente bassissima: servono strumenti informatici piuttosto sofisticati, di cui dispongono pochi ricercatori e poco utilizzati dalle stesse riviste scientifiche.

Detto ciò sembra che tutto ciò non tocchi Schillaci, che alle inchieste ha risposto: «Apprendo da voi in questo momento la notizia, non ne avevo conoscenza. Non sono esperto di microscopia elettronica, mi sono fidato di chi ha fornito quelle immagini. Verificheremo se effettivamente ci sono degli errori».

Sebbene non sia possibile stabilire chi abbia materialmente commesso errori o manipolazioni, le regole della comunità scientifica sono chiare: chi guida un’équipe di ricercatori e ne firma gli studi, ha l’onere di vigilare sulla loro autenticità.

Secondo le regole della comunità scientifica, indipendentemente dal ruolo, l’autore di una ricerca se ne assume integralmente la responsabilità, specie se si tratta del più alto in grado. Tutto questo purtroppo è legale: “La norma mira a responsabilizzare chi firma una ricerca scientifica, magari senza avervi contribuito come capita spesso nei baronati universitari. Secondo una pratica deleteria quanto diffusa, infatti, i docenti più potenti si arrogano il diritto di firmare ogni studio prodotto dal proprio gruppo di ricerca, prendendosene i meriti anche senza avervi contribuito” – scrive Capocci prendendo di mira la prassi tossica, diventata ormai dogmatica, del “publish or perish”, cioè «pubblica o muori», spingendo i giovani ricercatori in condizioni contrattuali precarie a cercare protezione dai baroni universitari pur di allungare il proprio curriculum e procurarsi nuovi finanziamenti. Un modo come un altro per farsi un nome nel proprio settore.

Sono i motivi per cui chi guida un gruppo di ricerca importante e numeroso deve farsi carico di errori e frodi commessi dai collaboratori. Un esempio è ciò che è successo poche settimane fa quando lo stimatissimo neuroscienziato e rettore della Stanford University, Mark Tessier-Lavigne, ha dovuto rassegnare le dimissioni a causa di quattro ricerche, anche in questo caso immagini truccate realizzate dal suo staff presso l’azienda privata Genentech, di cui Tessier-Lavigne era sia direttore delle ricerche che vicepresidente.

Il direttore della rivista Science, Holden Thorp, ha denunciato la tendenza di molti scienziati a mantenere posizioni di responsabilità sia in ambito accademico che in campo amministrativo, politico o imprenditoriale: «A nessuno piace veder smettere di crescere la propria produttività scientifica – ha scritto – e per uno scienziato è difficile rinunciare alla ricerca che si ama e in cui ci si identifica. Ma un incarico amministrativo di alto profilo è già abbastanza impegnativo di per sé».

Nonostante ciò, Schillaci sembra amare il rischio pur di prendere qualche finanziamento in più e non è un caso che il suo Ministero abbia appena dichiarato «di interesse nazionale», con relativo finanziamento, un progetto di ricerca relativo agli stessi argomenti degli studi «sospetti» coordinato da Manuel Scimeca, uno dei collaboratori e co-autori delle ricerche di Schillaci.

Ogni ruolo di vertice richiede dunque una scelta netta tra la scienza e il potere. Forse è giunto il momento che anche Schillaci faccia la sua” – ha scritto Capocci. Un monito che anche noi come AsSIS condividiamo e rilanciamo.