Da donna, da madre, da ostetrica, da sempre ho provato rabbia e frustrazione per quegli abusi silenti, in qualche modo legittimati, perpetrati molto spesso senza piena consapevolezza del proprio operato, per consuetudine, “perché si fa così da sempre” o “perché non si può fare altrimenti”. Ingiustizie e atteggiamenti irrispettosi al limite della violenza in contesti che, invece, devono tutelare e promuovere la Salute dove chi vi accede dovrebbe trovare accoglienza, rispetto, sostegno.
E nei luoghi del parto, della nascita non sempre ci si sente al sicuro ed ora più che mai Nascita non è sinonimo di Buona Nascita, di accoglienza, di rispetto, di sostegno.
Le norme e le restrizioni, spesso prive di logica sanitaria, attuate per contrastare la diffusione dell’infezione da SARS-Cov-2 hanno autorizzato l’eliminazione, un po’ ovunque, di diritti ritenuti inalienabili, fondamentali di cui ci si riempie la bocca da sempre.
E se il terrore di dover partorire “da sole”, in un luogo sconosciuto e blindato, ha portato un certo numero di coppie in attesa ad informarsi e prepararsi per una nascita in casa, per la maggior parte dei futuri genitori questo terrore è stato un triste compagno per 40 settimane, uno spettro che ha nutrito madre e nascituro di ansia ed angoscia, fagocitando l’attesa, focalizzando l’attenzione solo o quasi sul Covid-19, riducendo il tempo dedicato all’ascolto del proprio corpo, del proprio bambino, alla preparazione ad accogliere.
Negli incontri post parto degli ultimi anni, i primissimi dei quali, dopo le chiusure, fatti on-line per scrutare da lontano un attacco, suggerire i rimedi per una ragade, far “incontrare” le neomamme e farle confortare a vicenda, prima ancora di farle confrontare, ho potuto raccogliere innumerevoli testimonianze. Esperienze e vissuti accomunati dalla solitudine, dalla paura, dal terrore di fare del male al proprio bambino, dal senso di sfinimento per notti insonni e solitarie, con una creatura a cui badare e senza nessuno per una parola di conforto (non ci dimentichiamo che nei mesi più caldi della pandemia anche il personale sanitario aveva ridotto al minimo l’assistenza al rooming-in).
E se da un lato mi è rimasta impressa in maniera indelebile la sofferenza dei neogenitori coi bambini in Terapia Intensiva Neonatale, che potevano vedere i loro piccoli dal divano di casa attraverso un tablet (grazie al personale sanitario che si è attivato per permettere almeno questo minimo conforto), dall’altra non potrò mai dimenticare quei racconti singhiozzanti di lunghi prodromi solitari, di quei travagli con mascherine soffocanti ed ostetriche senza volti, di quei giorni e di quelle notti di rooming-in, pregando di tornare a casa il prima possibile…
Notti insonni, interminabili, durante le quali le donne richiedono spesso aggiunte di formula, sentendo di essere al limite delle proprie forze, della loro capacità di accudimento, perchè sole, non assistite, non ascoltate: troppo stanche per riuscire a rimanere lucide, per restare sveglie, con il bambino urlante, coi capezzoli dolenti, con il vuoto intorno. Troppo provate dal travaglio senza il compagno salutato all’ingresso dell’ospedale. Donne sfinite e doloranti dopo un taglio cesareo che ne limita i movimenti ed un bimbo da cullare, cambiare, allattare. Mamme da troppo poco tempo per riuscire da sole ad andare in bagno, mangiare, accudire il neonato in tempi ragionevolmente rapidi e con sufficiente serenità che si sono sentite frustrate dal senso di responsabilità, non bilanciato da un incoraggiamento o da una carezza.
E così coi fiumi di parole fluiscono tante lacrime, per traumi ancora vivi nelle madri, nei piccoli e nei padri, espropriati anch’essi del diritto di esserci e di farsi portavoce e di dare sostegno alla propria compagna, riammessi poi fugacemente in sala parto ma non in degenza eccetto un paio d’ore al giorno ma MAI di notte! Quella notte che in pueperio porta un buio ed una solitidine angosciante (questo lo sa bene chi è madre e chi alle madri sta accanto).
Qualche punto nascita si è discostato da queste regole ed ha permesso ai padri la permanenza per tutta la durata del ricovero, consentendo alle donne di avere sostegno, conforto, tranquillità e di non divenire fonte di pericolo per quella creatura tanto attesa e desiderata.
Purtroppo però la maggior parte delle partorienti ha dovuto dare alla luce ed accudire il proprio bambino in contesti talmente destrutturati da diventare pericolosi: alcuni effetti di queste “scelte assistenziali” sono visibili a tutti, eclatanti e devastanti emotivamente; altri sono più dicreti, silenziosi, taciuti, altri ancora accettati perchè “in una situazione del genere cosa potevo pretendere?”, altri percepiti dalle donne stesse come loro esclusiva responsabilità.
Quanta Salute negata, quanti diritti violati, quante madri e quanti bambini a cui chiedere perdono?
R.F.