La Commissione Medico-Scientifica indipendente (CMSi) dopo l’uscita dei nuovi dati ISS e sentenza delle Consulta produce un nuovo Comunicato Stampa per spiegare:
- come si calcola il tasso di infezione per un dato gruppo
- come, dati alla mano, sia sempre meno giustificato l’obbligo dal momento che gli adulti (40-59 anni) con booster si infettano il 60% in più dei non vaccinati!
La Corte Costituzionale ha legittimato l’obbligo vaccinale considerando la salvaguardia della salute di tutti i cittadini prevalente sull’interesse di singoli e accogliendo gli argomenti dell’Avvocatura dello Stato, anche in merito a un’efficacia (parziale) dei vaccini nel prevenire l’infezione da SARS-CoV-2, in base ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità/ISS, che proverebbero tale protezione.
Secondo il Dr. Antonio Panti, della Commissione Deontologica Nazionale della FNOMCeO (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici) “la FNOMCeO dovrebbe… chiedere al Parlamento e al Governo un intervento normativo che imponga l’obbligo vaccinale a tutto il personale sanitario, quale onere di servizio per garantire la sicurezza del paziente” (QS 2-12-2022).
L’aspetto paradossale, già evidenziato nel precedente Comunicato della CMSi, è che nessuno sembra verificare tale argomento con l’esame dei “dati dell’ISS”, che invece continuano oggi a mostrare una realtà ben diversa.
Riferendoci al Bollettino ISS del 30 novembre è evidente che oggi, in media, rispetto ai non vaccinati di pari fascia d’età:
- i bambini di 5-11 anni con due dosi di vaccino si infettano il 31% in più
- i giovani 12-39 anni con booster si infettano il 26% in più
- gli adulti 40-59 anni con booster si infettano il 60% in più
- gli anziani 60-79 anni con un booster si infettano il 2% in più dei non vaccinati, e se fermi a 2 dosi (dunque probabilmente a maggior distanza dall’ultimo inoculo) si infettano l’11% in più.
- Solo nella fascia d’età di 80 e più anni i dati ISS mostrano nei vaccinati con un booster un 45% di infezioni in meno dei non vaccinati.
È verosimile che il rischio di infezione si traduca anche in un rischio di trasmissione, come mostra – tra l’altro – un grande studio israeliano (Woodbridge et al. Nat Commun 2022;13:6706).
Come si calcolano i tassi?
Tasso di infezione per un dato gruppo (non vaccinati, vaccinati con 1-2 dosi, con booster, ecc.) = numero di diagnosi / popolazione di quel dato gruppo.
Maggior numero di casi di infezione COVID-19 diagnosticati = tasso di gruppo vaccinato/ tasso del gruppo non vaccinato = R
Se R è maggiore di 1 –> il gruppo vaccinato ha ricevuto più diagnosi di infezione COVID-19 rispetto al gruppo non vaccinato
Se R è minore di 1 –> il gruppo vaccinato ha ricevuto meno diagnosi di infezione COVID-19 rispetto al gruppo non vaccinato.
NB: il modo di rappresentare i dati da parte dell’ISS è all’opposto (cioè sono invertiti gli elementi del rapporto): è quindi indicato il tasso di un gruppo non vaccinato (al numeratore del rapporto) rispetto a quello di un gruppo vaccinato (al denominatore), di conseguenza R sarà minore di 1 quando è il gruppo non vaccinato ad avere meno diagnosi.
Si riproduce ora, solo per la voce “Diagnosi”, la Tabella 6 dell’ultimo Bollettino ISS (con tassi già calcolati dall’ISS):
Come si vede, i Rischi relativi per le classi di età riquadrate (che includono anche tutti i lavoratori della Sanità, obbligati di norma al booster) sono inferiori a 1; ciò significa che si infettano meno dei vaccinati che corrispondono ai diversi stati vaccinali indicati. Ad esempio, nella classe 12-39 i non vaccinati hanno un tasso di diagnosi di 0,8 rispetto ai vaccinati con booster, dunque i non vaccinati si infettano circa il 20% meno.
Si segnala anche che conta considerare la tendenza: si parte a gennaio 2022 con un diffuso riscontro di protezione dall’infezione nei vaccinati, che però a distanza di un certo numero di mesi, e comunque oggi, nelle fasce dai 5 ai 79 anni, si è trasformato nel suo contrario. Questi dati – se correttamente riportati alla Consulta – avrebbero già potuto chiudere il discorso sulla legittimità di un obbligo “per ragioni di solidarietà”.
Infatti, se a distanza di mesi dall’ultima dose la protezione dall’infezione si riduce fino a zero, e poi diventa negativa (cioè inferiore al livello dei non vaccinati), a meno di non ipotizzare continui richiami per ripristinare una certa protezione, si dovrebbe concludere che a medio termine per la comunità il vantaggio si traduce in svantaggio.
Nella decisione riguardante l’obbligo non vanno ignorate le sospette reazioni avverse.
Esse sono rilevate in maniera inadeguata nei sistemi di vaccinosorveglianza passiva o segnalazione spontanea (adottati in gran parte del mondo, e comunque dal VAERS negli USA, da EudraVigilance dell’EMA nell’Unione Europea, dall’AIFA in Italia) rispetto alla sorveglianza attiva attuata negli studi clinici randomizzati controllati registrativi negli adulti per i vaccini Pfizer e Moderna, e dal programma v-safe dei CDC (Centers for Disease Control and Prevention) negli USA. Le reazioni avverse ai vaccini a mRNA segnalate nei suddetti esempi di sorveglianza attiva superano di tre ordini di grandezza quelle dei sistemi di sorveglianza passiva e, per quanto possa sembrare incredibile, ciò vale anche per le reazioni avverse gravi (severe), come dimostra in modo incontestabile il confronto tra le fonti sopra citate.
Infine neppure l’argomento della “protezione da malattia severa” (che comporti ospedalizzazioni, accessi in terapia intensiva o decessi) la protezione rimane costante. Peter Doshi (Doshi P, Vaccine 2022;40:5798–805), basandosi sui trial randomizzati registrativi, che rappresentano la fonte più valida per fare confronti tra vaccinati e non vaccinati, ha dimostrato che l’eccesso di eventi avversi gravi di speciale interesse nei gruppi vaccinati supera di oltre 2 volte (con il vaccino Moderna) e di oltre 4 volte (con Pfizer) l’eccesso di ospedalizzazioni da COVID-19 che si è documentato nei gruppi di controllo. Dunque le malattie gravi totali nette sono risultate maggiori nei vaccinati rispetto ai non vaccinati nei trial randomizzati (NB: ciò si è confermato anche in trial randomizzati registrativi su adolescenti (Ali K, N Engl J Med 2021;385:2241-51), se si ha la costanza di esaminare anche le tabelle nell’Appendice elettronica)… ciò ha riguardato in tendenza anche i confronti tra decessi, fino a quando i produttori hanno reso disponibili al pubblico i dati relativi (nel trial su adulti di Moderna: 16 decessi nel gruppo vaccinato verso 16 nel gruppo di controllo, con risparmio di qualche morto per COVID-19 tra i vaccinati bilanciato da morti in più per altre cause, soprattutto cardiovascolari // nel trial su adulti di Pfizer: 21 morti nel gruppo vaccinato verso 17 morti nel gruppo di controllo, con riduzione di qualche morto per COVID-19 tra i vaccinati sovracompensata da morti in più per altre cause, soprattutto cardiovascolari)
Ormai con la variante Omicron (che si è dimostrata meno letale di un’influenza stagionale Xue L, Int J Infect Dis 2022;121:195–202) i rischi più gravi da COVID-19 sono ridotti al minimo, mentre i dati inglesi (dell’Ufficio Nazionale per le statistiche UK) relativi al 2022, purtroppo pubblicati per stato vaccinale solo da gennaio a maggio, mostrano un’allarmante tendenza all’aumento della mortalità in tutte le fasce di età nei vaccinati rispetto ai non vaccinati, con grandi differenze rispetto al 2021, quando la mortalità totale tra i vaccinati era nettamente inferiore rispetto a quella dei non vaccinati.