Dopo oltre sedici mesi di applicazione di linee guida, protocolli, prescrizioni e regole varie, con una serie di successivi decreti legge il Governo della Repubblica Italiana ha adottato un’ulteriore misura col dichiarato proposito di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione in presenza di alcuni servizi; si tratta del c.d. green pass o, come appare più opportuno definirlo, di una certificazione amministrativa che consente la fruizione di alcuni servizi (l’accesso alla ristorazione, ai musei, ai cinema, ai teatri, agli eventi sportivi, ai centri sociali), nonché l’esercizio di alcuni importanti diritti (la partecipazione ai concorsi, l’accompagnamento dei malati nelle strutture di cura, e, in ultimo, l’effettuazione della prestazione lavorativa nell’ambito scolastico ed universitario e la fruizione dei principali mezzi di trasporto).
Ricordiamo altresì che dall’aprile scorso era stato anche introdotto l’obbligo vaccinale per il personale sanitario, unica categoria di lavoratori che, ad oggi, è sottoposta a tale obbligatorietà; ma di tale imposizione non ci occuperemo in questa sede, anche se la materia ha degli evidenti punti di contatto.
Al di là delle considerazioni in merito all’opportunità ed all’efficacia di tale previsione per il comparto sanitario, in questa sede intendiamo proporre alcune riflessioni sulla compatibilità del certificato verde con riferimento alle norme convenzionali internazionali, a quelle eurounitarie nonché a quelle costituzionali, dal momento che le disposizioni introduttive di tale certificazione possono ritenersi legittime solo laddove compatibili e conformi con tale complesso di norme inderogabili di fonte internazionale ed interna.
E’ altresì evidente che ogni riflessione sul tema deve muoversi nello spazio e nella ricerca dell’equilibrio fra garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali, da una parte, ed adempimento dei doveri di solidarietà economico-sociale dall’altra.
Precisiamo inoltre che in questa sede non si approfondirà il tema, pur di grande rilevanza, connesso all’abuso della decretazione d’urgenza ed all’arbitrario ed illegittimo uso della dichiarazione di stato di emergenza ed al suo infinito protrarsi; né affronteremo l’altro nodo problematico derivante dall’applicazione dei recenti decreti-legge, e cioè la violazione di un generale principio di attribuzione dei poteri di controllo a soggetti predeterminati, rappresentati della mano pubblica: com’è noto le norme introdotte consentono a soggetti che non sono pubblici funzionari di effettuare il controllo sul possesso della certificazione (ma non sull’identità del soggetto che la esibisce!), così creando un diffuso potere ‘di polizia’ in contrasto con le formali e sostanziali regole generali di attribuzione dei pubblici poteri ed in violazione del principio di legalità.
Per passare all’analisi di quel che qui interessa, giova innanzitutto premettere che, in forza di alcune previsioni costituzionali inderogabili, il nostro ordinamento, com’è noto, apre la strada alla vigenza di norme provenienti da ordinamenti ‘esterni’:
art. 10, co. 1, Cost. L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
art. 11 Cost. L’Italia (…) consente (…) alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni.
art. 117, co. 1, Cost. La potestà legislativa è esercitata dallo Stato (…) nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Alla luce di tale quadro, la normativa sulla certificazione verde, oggi contenuta negli artt. 9bis e 9ter del D.L. 52/2021 (introdotti, rispettivamente, dai DD.LL. 105 e 111/2021, ancora in attesa di conversione) appare innanzitutto in contrasto con numerose previsioni e svariati principi di fonte internazionale ed eurocomunitaria di cui, sinteticamente, daremo indicazione dei principali qui di seguito:
Art. 14 C.E.D.U. dove si prevede il divieto di discriminazione: Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul (…)le opinioni politiche o quelle di altro genere, (…) od ogni altra condizione.
Art. 1 Prot.12 C.E.D.U. che, sempre in materia di divieto di discriminazione, dispone: 1. Il godimento di ogni diritto previsto dalla legge deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul (…)le opinioni politiche o di altro genere (…) o ogni altra condizione. 2. Nessuno potrà essere oggetto di discriminazione da parte di una qualsivoglia autorità pubblica per i motivi menzionati al paragrafo 1.
Art. 2 Dichiarazione universale dei diritti umani, sempre in tema di discriminazione: Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di (…) opinione politica o di altro genere (…).
Art. 7 Dich.univ.D.U.: Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad una eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione.
Art. 18 Dich.univ.D.U., in tema di libertà di coscienza: Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza (…).
Art. 1 Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e della medicina (c.d. di Oviedo): Le Parti di cui alla presente Convenzione proteggono l’essere umano nella sua dignità e nella sua identità e garantiscono ad ogni persona, senza discriminazione, il rispetto della sua integrità e dei suoi altri diritti e libertà fondamentali riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina. Ogni Parte prende nel suo diritto interno le misure necessarie per rendere effettive le disposizioni della presente Convenzione.
Art. 1 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata.
Art. 3 Carta D.F.U.E.: 1. Ogni persona ha diritto alla propria integrità fisica e psichica. 2. Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: a) il consenso libero e informato della persona interessata (…);
Art. 10 Carta D.F.U.E. in materia di libertà di pensiero e di coscienza: 1. Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza (…).
Art. 21 Carta D.F.U.E. in tema di divieto di discriminazione: È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul (…)le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura.
Alle principali fonti sin qui elencate (peraltro senza volerne pretendere l’esaustività) deve aggiungersene una specifica, recentemente approvata dal Parlamento e dal Consiglio europeo proprio in materia di certificazione verde; si tratta del Regolamento UE 2021/953 approvato nello scorso giugno (testualmente) per agevolare la libera circolazione nel territorio dell’Unione durante la pandemia e la vigenza delle misure di sicurezza sanitaria. In sostanza, la fonte eurounitaria prevede l’utilizzo della certificazione (che anche in tal forma viene rilasciata a seguito di avvenuta guarigione dal Covid-19, di avvenuta vaccinazione o di risultato negativo di test molecolare/antigenico) con funzione di armonizzazione delle legislazioni nazionali nell’ottica di facilitare ed incentivare la libera circolazione negli e fra gli Stati dell’UE.
Prima di addentrarsi nell’analisi più specifica dei rapporti fra la normativa italiana recentemente introdotta e le fonti sin qui citate appare però opportuna una premessa, concernente lo stato delle ricerche sin qui svolte e i dati scientifici sin qui consolidati; difatti tutte e tre le situazioni che possono consentire il rilascio del green pass lasciano margini di azione al virus dal momento che:
- la guarigione dalla malattia non consente di affermare che la persona non si potrà ammalare nuovamente e/o non potrà contagiare altri;
- il completamento del ciclo vaccinale (con qualunque dei vaccini oggi provvisoriamente autorizzati) non garantisce che la persona non si potrà ammalare nuovamente e/o non potrà contagiare altri
- i tamponi hanno dimostrato percentuali di errore non contenute.
Non si tratta, pertanto, di uno strumento che è in grado di assicurare né la mancanza di infezione e/o malattia in chi ne è dotato né il fatto che il medesimo non possa trasmettere l’infezione ad altra persona. Non è quindi una misura di carattere sanitario ma solo uno strumento di limitazione di libertà personali, sia in forma individuale che collettiva.
Stante questa situazione, quella che emerge sin da subito è la differente finalità e – conseguentemente – natura giuridica fra la certificazione europea e quella italiana; la prima, difatti, assume esclusivamente una finalità informativa e, quindi, si pone come documento di agevolazione della circolazione in sicurezza, consentendo l’eliminazione del meccanismo delle quarantene. La seconda, quella italiana, ha invece finalità opposta, cioè limitativa dell’esercizio di diritti, ed assume natura autorizzativo-precettiva.
Stante questa situazione, occorre verificare se le norme di recente introduzione rispettano le fonti sopra citate e, prim’ancora, se esprimono correttamente il bilanciamento che la nostra Costituzione e le carte internazionali richiedono fra libertà individuali inviolabili e doveri di solidarietà sociale inderogabili.
In primo luogo occorre verificare se i recenti decreti legge possono trovare un’applicazione compatibile con il citato Regolamento UE 2021/953, sia perché lo richiede il rispetto della fonte eurounitaria, sia perché sono gli stessi DD.LL. a richiedere tale necessaria compatibilità (ad es. all’art. 4, co. 3 n. 2, D.L. 105/2021 laddove introduce modifiche all’art. 9, co. 9, D.L. 52/2021 conv. mod. L. 87/2021).
Ed emerge con evidente immediatezza che questa compatibilità non sussiste perché:
- come si è visto, la certificazione UE tende ad agevolare la circolazione in (sia pur parziale) sicurezza nel territorio dell’Unione con un meccanismo di adesione volontaria, mentre quella nazionale impone trattamenti differenziati, e pertanto discriminatori, per l’esercizio di diritti fondamentali e l’accesso a servizi strettamente connessi alla dignità della persona ed al suo benessere psico-fisico. A tal proposito giova ricordare che la citata Convenzione di Oviedo richiede che il consenso al trattamento sanitario sia LIBERO, cioè non coartato da alcuna negativa conseguenza in caso di mancanza del consenso stesso;
- il green pass UE espande i diritti di libertà mentre quello nostrano li comprime, subordinandoli ad un’autorizzazione;
- la certificazione italiana comporta effetti discriminatori quando, al contrario, nei considerando (14) e (36) del preambolo, il Regolamento 2021/953 dispone espressamente che dalla sua applicazione non possono e non devono derivare effetti discriminatori. Tali norme, di contenuto evidentemente precettivo in quanto – secondo la tecnica normativa eurounitaria – finalizzate a definire finalità ed ambiti applicativi del regolamento, prevedono difatti:
(14) che esso “è inteso a facilitare l’applicazione dei principi di proporzionalità e di non discriminazione per quanto riguarda le restrizioni alla libera circolazione (…). Esso non dovrebbe essere inteso come un’agevolazione o un incentivo all’adozione di restrizioni alla libera circolazione o di restrizioni ad altri diritti fondamentali (…)”;
(36) che “è necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate” fra queste ricomprendendo anche coloro “che non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o perché hanno scelto di non essere vaccinati. Pertanto il possesso di un certificato (…) non dovrebbe costituire una condizione preliminare per l’esercizio del diritto di libera circolazione o per l’utilizzo di servizi di trasporto passeggeri (…) quali linee aeree, treni, pullman, traghetti. Inoltre il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo ad essere vaccinati”.
Siamo quindi di fronte a norme incompatibili con l’ordinamento dell’UE che, per tal motivo, possono essere disapplicate dal giudice nazionale o suscettibili di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE o, infine di proposizione di una questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 10, 11 e 117 sopra rammentati.
Ma vi è di più. Dalla suesposta analisi emerge l’illegittima compressione dei diritti costituzionali espressi:
all’art. 2, dove si prevede che i diritti fondamentali della persona siano salvaguardati e garantiti sia in forma singolare che nell’ambito delle formazioni sociali dove essa esplica la propria personalità;
all’art. 3, dove si prevede il principio di eguaglianza e pari dignità sociale fra tutti i cittadini e l’impegno della Repubblica per la rimozione delle condizioni che creano diseguaglianza;
all’art. 4, dove si stabilisce il diritto al lavoro, non solo come fondamentale mezzo di sostentamento della persona ma come forma principe di partecipazione alla vita sociale ed alla società democratica. A tale disposizione si lega quella dell’art. 35, che impone alla Repubblica di tutelare il lavoro;
all’art. 13, dove si prevede l’inviolabilità della libertà personale, dal momento che tracciare e controllare i movimenti di una persona, obbligandolo a munirsi di un’autorizzazione per esercitare diritti fondamentali, costituisce una restrizione della sua libertà, restrizione per la quale la Costituzione impone non solo la previsione della legge ma anche il controllo dell’autorità giudiziaria;
all’art. 16, in materia di libertà di circolazione, in quanto esso, per motivi di salute pubblica, prevede la possibilità di introdurre limiti a spostamenti in “parte del territorio nazionale”, quindi, in spazi territoriali geodeterminati, mentre i ristoranti, i bar, i musei, i convegni, le fiere, e soprattutto gli ospedali e le sedi di lavoro, i centro commerciali, i trasporti, le scuole, i concorsi pubblici, non sono parti del territorio nazionale, bensì, al contrario, beni e servizi, alcuni addirittura con caratteristiche di essenzialità;
all’art. 32, in tema di tutela della salute e del principio di autodeterminazione personale in materia sanitaria;
all’art. 33, che assicura la libertà d’insegnamento;
all’art. 34, che prevede il diritto allo studio ed all’istruzione.
In sostanza, appare palese che l’introduzione della certificazione verde altro non è che un modo per spingere le persone a vaccinarsi, limitandone sempre di più le facoltà e le possibilità quotidiane, in modo da indurle a compiere una scelta in contrasto con la propria autodeterminazione in materia di cure e salute. In sostanza, siamo di fronte un uso surrettizio di una certificazione amministrativa per indurre chi ancora non si è vaccinato a farlo, stigmatizzandolo come un untore sociale e privandolo di libertà, facoltà e diritti. E’ fuor di dubbio, difatti, che alla pubblica opinione viene offerta l’immagine di chi rifiuta il green pass come persona insensibile ai doveri di solidarietà, egoista e non degno di vivere nella compagine sociale, tanto che lo si priva della possibilità di lavorare (gli insegnanti, i professori universitari, i ricercatori, i dipendenti di scuole ed università, etc. etc.), di fruire di opportunità di crescita lavorativa (concorsi pubblici), culturale (cinema, teatri, musei…) e psico-fisica (attività sportive), di adempiere ad altri doveri di solidarietà umana e familiare (accompagnare un parente ad una visita o andarlo a trovare in ospedale…). In sostanza, così si creano cittadini e cittadine di serie B (se non peggio…), cui non si riconoscono parti importanti della dignità sociale.
Ma vi è di più! Questa modalità di azione spezza il patto di correttezza, legalità e rispetto fra governanti e governati che si fonda sull’esercizio della sovranità popolare, sul rispetto della dignità umana e sull’obbligo di fedeltà alla Costituzione che grava su chi esercita, ad ogni livello, funzioni pubbliche.
All’esito delle riflessioni sin qui proposte emerge con tutta evidenza come le necessarie valutazioni in tema di politica sanitaria e di rispetto dei diritti fondamentali richiederebbero una chiara e trasparente azione politica da parte del Governo che, ove coscientemente convinto della necessità di un generalizzato obbligo vaccinale, dovrebbe avviare un percorso parlamentare ordinario, con il coinvolgimento di tutti gli attori sociali ed istituzionali, aprendosi al coinvolgimento di tutte le opinioni, ma con l’obbligo di tenere bene di conto di quelli che sono i limiti costituzionali in materia di imposizione di trattamenti sanitari, nonché gli orientamenti espressi da organismi internazionali, prima fra tutte l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa che nel gennaio scorso ha approvato una risoluzione che difende la libertà di scelta dei cittadini ed avverte che nessuna discriminazione può legittimamente colpire chi sceglie di non vaccinarsi.
In mancanza di tale scelta, e quindi in assenza di un generalizzato obbligo vaccinale, ogni forma di limitazione della libertà personale e dei diritti fondamentali riservata a chi non si è vaccinato è illegittima e discriminatoria. Lo Stato non può mettere il cittadino di fronte alla scelta fra il vaccino (o la continua sottoposizione a test diagnostici) e l’esercizio di diritti e libertà fondamentali; si tratta, con tutta evidenza, di una surrettizia imposizione di un obbligo senza il rispetto delle forme previste dalla Costituzione.
Quest’ultimo aspetto richiede un’attenta riflessione in ordine al fatto che solo attraverso il rigoroso rispetto dei principi costituzionali può essere affrontata l’attuale situazione, e questo per un duplice ordine di motivi:
- i principi costituzionali devono valere anche e soprattutto nelle situazioni di emergenza. Non è possibile giustificare alla luce di una qualunque emergenza l’elusione e l’aggiramento delle garanzie e dei principi fondamentali del nostro vivere collettivo perché anzi è proprio in questi momenti che appare ancor più necessario rispettare i fondamenti costituzionali dell’ordinamento, messo alla prova dalla situazione di emergenza. Le regole fondamentali servono proprio e soprattutto in tali occasioni perché nessuna emergenza può giustificare la negazione dei diritti fondamentali dell’individuo e della collettività;
- costringere col green pass chi non vuol vaccinarsi a farlo qualora intenda godere di facoltà e diritti significa altresì imporre ad una minoranza un qualcosa che non può basarsi sul principio maggioritario. Un’organizzazione democratica del vivere civile deve consentire alle minoranze, siano pure rappresentate da un singolo, di far salve le proprie convinzioni in temi fondamentali come le scelte sulle cure e la salute, soprattutto quando queste scelte non limitano le altrui libertà; difatti, alla luce delle attuali conoscenze sull’efficacia dei vaccini e sulle loro caratteristiche sopra ricordate, la scelta di chi non si vaccina non comporta nessuna ricaduta sulla sicurezza e la salute dei singoli che, invece, hanno scelto di vaccinarsi, e della collettività, soprattutto in considerazione del fatto che le stesse norme introduttive della certificazione verde prevedono il mantenimento delle altre misure precauzionali sin qui adottate (uso di mascherine, costante disinfezione di ambienti e persone, distanziamento).
Si rimuova quindi questa illegittima limitazione delle nostre libertà, non convertendo la recente decretazione d’urgenza ed avviando con coraggio ed onestà intellettuale e scientifica una diffusa azione di prevenzione e cura contro la malattia!