“L’invito è a lavorare insieme per unire conoscenze antiche e scienza moderna nel perseguimento della salute per tutti”.

Il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus non lascia spazio alle interpretazioni nel suo discorso che ha aperto il Secondo Congresso Mondiale di Medicina Integrata e Salute in corso a Roma e organizzato dalla Fondazione ARTOI (associazione ricerca terapie oncologia integrata).

Finalmente, dalla massima autorità mondiale in materia di salute arriva un segnale importante di apertura alle medicine tradizionali, di cui fa parte ad esempio l’Ayurveda, la medicina tradizionale indiana.

Medicine tradizionali troppo spesso, dice il dg dell’Oms “stigmatizzate e liquidate come non scientifiche”.

Eppure, e il Congresso Mondiale lo conferma, in ben 100 paesi al mondo utilizzate da milioni di persone come medicine.

L’Oms, ha ricordato Ghebreyesus, “ha istituito il suo programma di medicina tradizionale per la prima volta nel 1976 e l’anno scorso abbiamo annunciato la creazione di un Centro Globale di Medicina Tradizionale in India“.

L’Oms sta ora sviluppando una nuova strategia globale per il periodo 2025-2034, una strategia che vuole sviluppare la basi scientifiche per sostenere l’uso sicuro ed efficace della medicina tradizionale in tutti i Paesi.

Per me, che oltre che giornalista, sono naturopata e studiosa di Ayurveda, la notizia è una ventata di aria fresca, uno spiraglio che lascia sperare all’introduzione di un nuovo paradigma di cura che si chiama Medicina Integrata.

La medicina integrata non vuole sostituire la medicina occidentale classica, a cui, senza dubbio, tanto dobbiamo. Ma vuole sostenerla, accompagnarla.

Le conoscenze antiche, come le ha definite il direttore generale dell’Oms, custodiscono una saggezza millenaria, che guarda al paziente nella sua totalità di corpo, mente e spirito, che ascolta il paziente, che osserva il paziente.

Un approccio talmente personalizzato e intimo che, come afferma un detto molto popolare nell’Ayurveda: non cerca di scoprire la malattia di cui soffre il paziente, ma piuttosto si preoccupa di conoscere a fondo la natura del paziente che sta esaminando, per capire i suoi punti di forza e di debolezza.

Sono figlia di un infermiere che credeva nella medicina. Sono una giornalista che come tale cerca la verità dei fatti, le fonti delle notizie, le prove della veridicità dei fatti. Sono una naturopata che ogni giorno, nella vita quotidiana, mette in pratica gli insegnamenti della medicina ayurvedica e sperimenta su se stessa la sua capacità di migliorare la qualità della vita.

E queste nature che convivono in me da anni, mi fanno essere certa che non possiamo più chiudere gli occhi di fronte alle medicine antiche e alla loro saggezza.

Certo ci sarà bisogno delle evidenze scientifiche, le basi solide per dimostrare che le medicine tradizionali sono sicure ed efficaci. Ma la strada è questa. La strada è la medicina integrata.

Una medicina che, con l’apporto delle medicine tradizionali e delle pratiche antiche, rimetta al centro la persona, l’ascolto, la prevenzione, l’attenzione per lo stile di vita. Che non sia solo sintomo. Solo numeri. Solo protocolli.