di Eugenio Serravalle ed Alessia Zurlini
I Centers for Disease Control and Prevetion (CDC) americani hanno creato V-Safe, un programma, basato su applicazione per smartphone, per raccogliere le segnalazioni degli eventi avversi dopo la vaccinazione contro la Covid-19.
Circa 10 milioni di persone negli Stati Uniti si sono iscritte e hanno inviato le proprie cartelle sanitarie per evidenziare reazioni avverse anche gravi.
Il 7,7% dei vaccinati ha riferito di aver avuto bisogno di ricorrere a cure mediche dopo la somministrazione del vaccino contro COVID-19 come si può vedere sulla dashboard di ICAN v-safe:
(nota: 528.381 persone non hanno mai risposto a v-safe, escludendole dal totale degli utenti la percentuale del 7,7% salirebbe a circa l’8,2%.)
Questo è ciò che emerge ma avere i dati di V-safe non è stato così semplice.
Il team legale dell’associazione Informed Consense Action Network (ICAN) fin dal 2020 ha cercato di ottenere dai CDC documenti relativi alla sicurezza dei vaccini impiegati nella lotta alla pandemia ed in particolare i dati sulla sicurezza post-marketing ottenuti dal suo sistema V-safe.
I CDC hanno rifiutato di rilasciare questi dati, seppur dichiarando di esserne in possesso in una forma che poteva già essere resa pubblica (quindi rispettosi della privacy). Finalmente, dopo molteplici richieste legali, appelli e due cause federali (causa 2021 e causa 2022), i CDC hanno dovuto capitolare e accettare di pubblicizzare i dati dopo 464 giorni dalla richiesta e un ordine del tribunale.
Finalmente l’ICAN ha avuto la possibilità di renderli pubblici e ora si comprende il motivo del rifiuto dei CDC di comunicarli, se non dopo l’ordine di un giudice.
Cosa è V-safe?
V-safe è un sistema di monitoraggio della sicurezza dei vaccini contro COVID-19. È un sistema di sorveglianza non passivo ma semi-attivo che funziona nel seguente modo: dopo essersi registrato alla piattaforma, V-safe richiede, tramite sms, informazioni sullo stato di salute e in particolare sulla comparsa di eventi avversi dopo la vaccinazione per permettere ai CDC di monitorare la sicurezza dei vaccini. Ritenendolo uno strumento attendibile, sia la FDA che i CDC amano fare affermazioni basate su V-safe, incluso quella che “i vaccini Covid-19 sono sorvegliati dai più intensi sforzi di monitoraggio della sicurezza nella storia degli Stati Uniti”.
Come funziona V-safe?
Dopo aver completato la registrazione su V-safe, viene richiesto di compiere una specie di “check-in” sanitario nel giorno della vaccinazione contro COVID-19. Si tratta, in pratica, di rispondere a domande sulla salute utilizzando risposte precompilate. Il programma include anche alcuni campi di testo libero in cui gli utenti possono fornire “altre” informazioni senza essere limitati dalle risposte incluse nelle caselle precompilate. Agli utenti viene richiesto di inviare un “check-in” quotidiano per una settimana dopo la vaccinazione, poi settimanale per sei settimane, poi uno a distanza di sei mesi e di un anno, sia dopo la prima dose che dopo le successive inoculazioni. Un utente non può inviare dati retroattivamente.
Di seguito un esempio di un check-in giornaliero del giorno della vaccinazione:
Si può vedere come V-safe raccolga solo alcune informazioni limitate e preselezionate in modo sistematico. Per i primi sette giorni dopo un’iniezione, chiede agli utenti di controllare uno o più dei seguenti sintomi:
- brividi
- mal di testa
- dolori articolari
- dolori muscolari
- fatica o stanchezza
- nausea
- vomito
- diarrea
- dolore addominale
- eruzione cutanea
Durante questi primi sette giorni e poi una volta alla settimana per sei settimane, poi a sei mesi e un anno, viene chiesto agli utenti di scegliere, se necessario, uno o più delle seguenti condizioni che presentano un “impatto sulla salute”:
- incapace di svolgere le normali attività quotidiane
- giorni di lavoro/scuola persi
- necessità di cure mediche
Infine, se un utente seleziona di aver avuto necessità di cure mediche, V-safe chiede all’utente di selezionare una o più di queste opzioni:
- ricovero
- accesso al pronto soccorso
- cure urgenti
- telemedicina
Sono queste le informazioni sulla sicurezza, oltre ai campi di testo libero, raccolte da V-safe.
I dati di V-safe mostrano che il 7,7% dei suoi circa 10 milioni di utenti ha riferito di aver dovuto richiedere assistenza sanitaria dopo la vaccinazione e che oltre il 70% di questi utenti ha avuto necessità di cure cliniche o ambulatoriali urgenti, accessi al pronto soccorso e/o è stato ricoverato.
Non si dica che questi utenti erano no-vax che denunciavano la necessità di cure mediche per falsificare i dati! Tutti gli utenti V-safe sono persone vaccinate. I no-vax non si vaccinano. Non solo queste persone non erano contrarie all’iniezione – perché ognuno di loro l’ha ricevuta – ma probabilmente sono tra le più convinte dell’opportunità di vaccinarsi. Ciò è dimostrato dal fatto che la maggior parte di chi si è registrato a V-safe lo ha fatto tra dicembre 2020 e aprile 2021; infatti, circa 9 milioni, dei circa 10 milioni di utenti, hanno aderito proprio nel periodo in cui negli USA la vaccinazione era richiesta dalla popolazione a gran voce, con file lunghissime agli hub ed i media mostravano influencer intonare canzoni d’amore sul vaccino… parallelamente in Italia, il trio Crisanti, Bassetti e Pregliasco, sulla musica di ‘Jingle bells’, cantava: “Sì sì sì sì sì sì vax vacciniamoci”.
In USA come in Italia il vaccino è stato distribuito per primi ad anziani ospiti di RSA. I CDC hanno poi raccomandato, e molti Stati hanno seguito le loro indicazioni, un’implementazione graduale agli operatori sanitari e ai residenti delle strutture di assistenza a lungo termine. È stato durante questo periodo che le persone si sono iscritte a V-safe, entusiaste di far parte del programma vaccinale. Si può presumere che gli operatori sanitari si siano iscritti a un programma basato su smartphone più degli anziani residenti nelle residenze sanitarie assistite. Tutto ciò è avvenuto ben prima delle emanazioni di leggi che hanno sancito l’obbligo vaccinale negli Stati.
I dati dei 10 milioni di utenti V-safe possono dunque essere rappresentativi dell’esperienza della intera popolazione di 265 milioni di americani che hanno ricevuto almeno una dose di un vaccino contro COVID-19 anche se, pur essendo certamente meglio dei programmi di vigilanza passivi, si può ritenere che anche in V-safe gli eventi avversi siano sottostimati poiché:
- il gruppo di popolazione anziana oggetto della primissima campagna vaccinale ha, oggettivamente, meno dimestichezza nell’uso di un programma basato su smartphone per monitorare la propria salute dopo la vaccinazione, ma allo stesso tempo potrebbe essere più suscettibile agli effetti negativi del vaccino.
- alcune persone tra le prime a vaccinarsi, per convinzione ideologica o perché operatori sanitari, possono essere probabilmente più inclini a sottostimare i sintomi che a segnalarli eccessivamente.
I dati emersi rimangono in sé sconcertanti, ma ancora più incredibile è l’ostruzionismo da parte dei CDC sul loro rilascio, il processo reso necessario per ottenerli e il modo in cui i CDC li hanno utilizzati. Tutto ciò, per molti versi, riflette quello che non va nell’azione politica delle istituzioni che si occupano di sanità pubblica. Oggi V-safe è probabilmente il migliore sistema di sorveglianza, in assenza di vaccinovigilanza attiva, in grado di analizzare il profilo di sicurezza di questi prodotti.
Ma non è tutto oro quello che luccica.
Precisamente, quali dati V-safe hanno reso pubblici i CDC?
I dati comunicati dai CDC all’ICAN fino ad oggi sono limitati esclusivamente alle risposte delle caselle precompilate di controllo presenti nell’esempio dello screenshot sopra riportato, e non le domande a testo libero. Pertanto, nei “check-in” sanitari organizzati in questo modo, alcuni eventi avversi, come dolore toracico o altri sintomi cardiaci potrebbero non essere raccolti. Vorremmo conoscere i criteri che hanno indotto i CDC a raccogliere solo queste limitate informazioni.
Innanzitutto, ricordiamoci cosa si sapeva sui potenziali eventi avversi prima che qualsiasi vaccino contro Covid-19 fosse somministrato alla popolazione:
- Uno studio del New England Journal of Medicine del luglio 2020 intitolato “An mRNA Vaccine against SARS-Cov-2 – Preliminary Report” aveva evidenziato 35 eventi avversi correlati alla vaccinazione a mRNA, tra cui disturbi oculari, disturbi gastrointestinali, disturbi muscoloscheletrici e del tessuto connettivo e disturbi del sistema nervoso .
- Un articolo JAMA del 16 ottobre 2020 intitolato “Post-approval Vaccine Safety Surveillance for COVID-19 Vaccines in the US” affermava che “è probabile che gli AESI [Eventi avversi di interesse speciale] includano reazioni allergiche, infiammatorie e immuno-mediate, come anafilassi, sindrome di Guillain-Barré, mielite trasversa, miocardite/pericardite, malattia respiratoria potenziata associata a vaccino e sindrome infiammatoria multisistemica nei bambini”.
- In una presentazione del CDC datata 30 ottobre 2020, intitolata “Monitoraggio della sicurezza post-autorizzazione/post-licenza dei vaccini COVID-19 da parte del CDC“, sia un ” elenco di Condizioni mediche prespecificate per RCA [analisi del ciclo rapido]” che un “elenco degli eventi avversi VAERS [eventi avversi] di particolare interesse” includevano, tra gli altri, infarto miocardico acuto, anafilassi, convulsioni/perdita di coscienza, encefalite, sindrome di Guillain-Barré, trombocitopenia autoimmune, MIS-C, miocardite/pericardite e mielite trasversa.
La possibilità che l’mRNA potesse causare queste gravi patologie è stata sollevata mesi prima che il vaccino contro COVID-19 fosse autorizzato nel dicembre 2020. Di riflesso, con la preoccupazione che i vaccini a mRNA potessero causare queste gravi condizioni, il protocollo del CDC per V-safe, almeno già dal 28 gennaio 2021, ha identificato gli “Eventi avversi di interesse speciale” che ha inserito in una tabella intitolata “Condizioni medicali pre-specificate” che includeva 15 condizioni gravi di particolare interesse da monitorare dopo la vaccinazione contro COVID-19.
Ecco l’estratto dal protocollo V-safe del CDC:
Questo elenco proviene dal protocollo dei CDC utilizzato per sviluppare il programma V-safe. Includeva miocardite, pericardite, infarto miocardico acuto, ictus, GBS e mielite trasversa oltre a sindromi multisistemiche eppure V-safe è stato lanciato senza includere alcuna risposta precompilata di controllo per queste condizioni e non è mai stato successivamente aggiornato per includere campi con caselle precompilate per queste patologie.
Le prove della premeditazione
Spesso è difficile ottenere prove che dimostrino la premeditazione. In questo caso, la scelta dei CDC di non includere gli eventi avversi di particolare interesse, già noti dagli studi precedenti al lancio di V-safe e già identificati dagli stessi CDC nel protocollo V-safe, rappresenta una delle migliori e più convincenti prove a sostegno della premeditazione.
I CDC avrebbero potuto sfruttare questa incredibile opportunità – poiché V-safe stava già acquisendo dati sulla salute di oltre 10 milioni di utenti – e includere facilmente queste condizioni come opzioni in caselle precompilate. Così sarebbe stato facile calcolare il tasso di utenti V-safe che hanno sviluppato miocardite, ictus, convulsioni etc. Invece, i CDC hanno scelto di proposito di limitare la segnalazione di tali eventi avversi ai campi di testo libero, ben sapendo che gli utenti spesso non compilano questi campi, e che le risposte non sarebbero state facilmente standardizzate e, infine, che questi dati potrebbero rimanere sconosciuti al pubblico, come sta avvenendo perché i CDC continuano a rifiutare la loro pubblicazione.
I CDC sapevano che la conoscenza di questi gravi eventi avversi era fondamentale per il monitoraggio sulla sicurezza dei vaccini e l’aver creato un sistema incredibilmente complesso per gestire le segnalazioni riportate nel campo libero è di eccezionale gravità. La complessità, rispetto alle risposte precompilate, è evidente: qualsiasi segnalazione in un campo libero richiede che un operatore la prenda in carico, che contatti l’utente per telefono (cosa che spesso non si è verificata o lo è stato con ritardi di mesi o anni), e solo se, a suo giudizio, la condizione descritta del vaccinato rientra tra gli eventi avversi, questa patologia potrebbe essere inserita nell’elenco. Se i CDC avessero semplicemente creato delle caselle precompilate per ciascuna delle patologie già identificate come eventi avversi, il loro tasso sarebbe potuto emergere più rapidamente e con più semplicità. Invece, i CDC hanno scelto consapevolmente, coscientemente, di non creare caselle precompilate per questi gravi eventi avversi, anche se già identificati e individuati come possibile fonte di problemi per la sicurezza da monitorare prima del lancio di V-safe.
Le caselle precompilate di controllo adottate dai CDC riguardano, per la prima settimana una serie di condizioni (come dolore al braccio, febbre, affaticamento, ecc.) non definiti eventi avversi, ma come esempi della reattogenicità dei vaccini (che i CDC valutano positivamente, perché sarebbero la prova che il vaccino sta funzionando). Pertanto, i dati sulla reattogenicità della prima settimana raccolti da V-safe sono effettivamente inutili per valutare eventuali problemi reali di sicurezza. Gli unici dati significativi sulla sicurezza raccolti da V-safe sono quelli definiti avere un “impatto sulla salute“ relativi all’impossibilità di svolgere le normali attività quotidiane, all’assenza da scuola/lavoro o alla necessità di cure mediche. L’analisi di questi dati può fornire informazioni sufficienti per determinare se il vaccino è “sicuro”.
Questo è dunque l’unico dato potenzialmente utile raccolto da V-safe, e l’apprendere che il 7,7% dei vaccinati ha riferito di aver avuto bisogno di cure mediche e un ulteriore 25% ha riferito di non essere stato in grado di svolgere le normali attività e/o di aver perso la scuola o il lavoro, avrebbe dovuto fare scattare un campanello d’allarme.
Una reale sorveglianza attiva potrebbe mostrare valori ancora maggiori, ecco perché nessuno la vuol fare!