Siamo giunti al fatidico momento: ci troviamo sommersi da un crogiolo di forze divisive e polarizzanti giustificate dall’emergenza sanitaria e dobbiamo decidere cosa fare.

Le alternative sono semplici:

  • partecipare all’odio dilagante, in una posizione o in un’altra (“È evidente che ho ragione io!”)
  • Soccombere e arrendersi all’evidenza (“Tanto io che posso fare?”)
  • Prendere consapevolezza, resistere ed essere responsabili (“Adesso basta. Non parteciperò né direttamente né indirettamente a questo gioco e farò la mia parte.”)

La prima soluzione non richiede sforzi: lo si fa normalmente in modo automatico. Odiamo con azioni, parole e sguardi meccanicamente, e poi giustifichiamo il nostro odio con posizioni e riflessioni pescate dalla narrazione di autorità, amici, parenti, colleghi, personaggi della nuova scena televisiva.

La seconda deriva da un’incomprensione: prendere una posizione non significa chinare il capo. L’impotenza genera rabbia in varie forme, e la rabbia genera reazioni a catena che si ripercuoteranno sull’asse emotivo-mentale-somatico, oltre che sociale. (1)

La terza è più complessa perché richiede in primis una presa di coscienza di un fattore piuttosto seccante: la prima persona che devo tenere d’occhio, al di là dei torti e delle ragioni, sono proprio io. E una volta fatto, sollecita a fare qualcosa di radicalmente diverso.

In un momento di così grande tensione, la discussione sul sesso degli angeli da parte della psicologia suona proprio fuori tema. La sua inutilità risulta disarmante, ed il silenzio di molti ordini professionali in merito all’odio che si sta generando tra la popolazione è fonte di domande e di imbarazzo. Di certo il senso di appartenenza a categorie di mestieri, come il mio, che dovrebbero al contrario aiutare ad affrontare le discrepanze in modo serio e non discriminante, è fortemente messo in discussione.

Gli esperimenti di psicologia sociale hanno da sempre rivelato infatti un messaggio che non vogliamo accettare, ovvero che la maggior parte di noi può subire significative trasformazioni del carattere quando si trova nel crogiuolo delle forze sociali (2). Sappiamo inoltre che l’odio viene generato, trasmesso e fomentato dall’ambiente in cui ci si trova: ogni situazione è caratterizzata da una sua ideologia che definisce e spiega il significato degli eventi che vi accadono, e come tale concorre a dirigere pensieri e comportamenti dei singoli e delle collettività (3).

Si odia spesso, si odia ovunque: per strada e nel privato si odia con sguardi e commenti sprezzanti, si odia sul lavoro e nelle divisioni “dentro e fuori” per prendere un caffè. E naturalmente si odia sui social network e sui media, dove il grado di distanza dai propri interlocutori concorre alla manifestazione di un odio vergognoso, e dove chi afferma e discute qualcosa che non piace diventa “sorcio”, “poltiglia verde”, “covidiota”, “assassino”, “telecaprone” e merita di “essere arrestato”, di essere “bucato una decina di volta sulla solita vena”, di “essere intubato senza anestesia”, di “morire tutti tra 2 anni”. E dove quest’odio giustificherebbe azioni che, ipocritamente o follemente, abbiamo sempre considerato proprie di epoche buie e disumane, ma che adesso come d’incanto vengono fomentate, esasperate, accettate: “sputare nel loro cibo”, “campi di sterminio”, “due camere a gas”, “perseguiti come se fossero mafiosi”.

[Ci tengo a sottolineare che nel virgolettato ci sono frasi provenienti da dichiarazioni reali e pubbliche, alcune delle quali molto note perché fatte da personaggi considerati autorevoli.]

Ecco che allora la psicologia dovrebbe servire, specie adesso, a ricordare cosa accade quando ci si trova all’interno di forze sociali simili e, successivamente, come opporsi all’influenza indesiderata e resistere alle seducenti lusinghe delle influenze esterne negative. Le placide espressioni da “va tutto bene” o le soluzioni posticce che richiamano la new age non hanno mai aiutato nessuno a ritrovare lucidità o a smarcarsi realmente da periodi di contrasti e contraddizioni così appuntiti e mortificanti.

Grazie alla storia sappiamo benissimo a cosa conduce l’odio verso il prossimo e verso se stessi, e questo è il motivo per cui l’odio è da contrastare, da rifiutare categoricamente.

I pensieri e i comportamenti che scegliamo per noi stessi devono essere il risultato di una scelta consapevole a vari livelli: individuale, familiare, comunitaria e culturale. La chiave per superare l’odio è come sempre l’educazione, ma lo è in questo caso anche e soprattutto l’esempio, che siamo ora richiamati a dare, rilanciare, diffondere. La psicologia è un valido aiuto in tal senso perché ne ha sperimentato la genesi e misurato le conseguenze.

Penso primo tra tutti a Philip Zimbardo e al suo lavoro, forse il più famoso e diffuso in tutto il mondo, sull’odio; un lavoro che nasce dall’esito dell’esperimento sociale più drammatico della storia e del suo lavoro nei campi di prigionia (4). Dieci sono i punti messi in luce da Zimbardo per combattere attivamente l’odio e le sue manifestazioni, senza diventarne vettori e senza soccombere.

 

Li abbiamo ricordati con i colleghi dell’Osservatorio Psi (5) e abbiamo creato un’infografica che li riassume tutti. Usiamola per ricordare. Approfondiamola, divulghiamola, insegniamola. Ma soprattutto sperimentiamola: sarà il miglior modo possibile per fare la propria parte e, talvolta, fare un po’ anche quella di altri che non hanno la stessa innegabile fortuna di essere consapevoli.

1) Ammettiamo le nostre lacune, sbagli e debolezze

Non siamo perfetti né onniscienti. Che si stia con i Guelfi o con i Ghibellini, ci manca di certo la visione completa delle cose. La scienza è dibattito, dubbio e ricerca costante, non si arrocca su certezze per natura. Insegniamo ad avere un approccio scientifico in primis a noi stessi. Scusarsi apertamente riduce la necessità di giustificare o razionalizzare i nostri errori e quindi di continuare a dare supporto a cattive azioni o azioni riprovevoli. Confessare gli errori distrugge la motivazione a ridurre la dissonanza cognitiva, e compensare ai danni inflitti a lungo termine è sempre un vantaggio. Abbiamo offeso qualcuno? Ammettiamolo. Abbiamo danneggiato qualcuno? Facciamo ammenda, fino a quando la parte danneggiata non si sarà dichiarata soddisfatta.

Le ferite non si ricuciono con fili invisibili e parole al vento, ricordiamolo.

2) Facciamo molta attenzione         

In molti contesti, persone sveglie fanno cose stupide perché non prestano attenzione a caratteristiche cruciali delle parole o delle azioni di agenti influenzanti e non notano evidenti segnali situazionali. Dobbiamo ricordarci di non vivere la nostra vita con il pilota automatico, ma di concederci sempre un momento per riflettere sul significato della situazione attuale, per pensare prima di agire. Per ottenere i migliori risultati occorre aggiungere il pensiero critico, domandare prove che suffraghino le asserzioni, esigere che le ideologie siano abbastanza elaborate da permetterci di distinguere la retorica dalla sostanza, immaginare scenari finali delle conseguenze future di qualunque pratica attuale. Occorre rispettare le soluzioni semplici per risolvere rapidamente problemi personali o sociali complessi. Occorre incoraggiare il pensiero critico nei bambini fin dalla più tenera età, aiutarli a diventare persone più sagge, più diffidenti e più informate.

3) Impariamo ad essere responsabili

Lamentarsi acriticamente delle situazioni che si vivono significa di fatto negare di far parte del sistema in cui determinate dinamiche prendono vita. Assumersi invece la responsabilità della propria parte – attiva o passiva che sia – esattamente per ciò che si sta vivendo, ci mette al posto di guida. Se ci sediamo sul sedile posteriore senza un autista responsabile, sappiamo già che fine faremo. Si diventa più resistenti all’influenza sociale indesiderabile se si mantiene sempre un senso di responsabilità personale e se si è disposti a essere ritenuti responsabili delle nostre azioni. Se un personaggio presente in TV e per di più considerato autorevole fa delle dichiarazioni che inneggiano all’odio, ricordiamoci che siamo noi ad aver acceso l’interruttore. Come tale, possiamo spegnerlo e far ritornare tranquillamente la persona al suo anonimato. Che si riconquisti il nostro rispetto e il nostro appoggio.

4) Affermiamo la nostra identità

Non bisogna permettere agli altri di de-individuarci, di collocarci in una categoria, in uno scomparto, in una casella, di trasformarci in un oggetto. No-mask, no-vax, negazionisti, cospirazionisti, covidioti, assassini, terrapiattisti e chi più ne ha più ne metta. Non è giusto: affermiamo in ogni occasione la nostra individualità, decliniamo il nostro nome e le nostre credenziali, a voce alta e chiara e insistiamo affinché anche gli altri adottino lo stesso comportamento. Operiamo per cambiare qualunque condizione sociale che renda etichettabili le persone. Promuoviamo invece le pratiche che fanno sentire gli altri speciali, così che anche loro abbiano un senso di valore personale e di autostima. Non permettiamo né pratichiamo stereotipie negative: parole, etichette e battute possono essere distruttive se sbeffeggiano altre persone.

Il male si annida nella polvere.

5) Rispettiamo l’autorità giusta ma ribelliamoci contro l’autorità ingiusta

In ogni situazione, facciamo in modo di distinguere fra quelli che detengono l’autorità che, per la loro competenza, saggezza, anzianità o per il loro status speciale, meritano rispetto, e le figure di autorità ingiusta che esigono obbedienza pur essendo prive di sostanza. Molti che si ammantano dell’autorità sono pseudo-leader, falsi profeti, imbroglioni, promotori di se stessi che non dovrebbero essere rispettati ma disobbediti e apertamente additati alla critica.

6) Diamo valore alla nostra indipendenza

Il potere del desiderio di accettazione è tale che alcune persone sono disposte a fare quasi qualunque cosa per essere accettate e anche di più per evitare di essere respinte dal gruppo. Talvolta però il conformarsi a una norma del gruppo è controproducente per il bene sociale. È imperativo determinare quando seguire la norma e quando rifiutarla ed essere disposti e pronti a dichiarare la nostra indipendenza al di là del rifiuto sociale che può provocare. Non è facile, specie per chi ha un’immagine di sé è isomorfa a quella del loro lavoro. In questi casi le pressioni per fare gioco di squadra sono quasi irresistibili. Dobbiamo allora fare un passo indietro, accogliere opinioni esterne e trovare un nuovo gruppo che sostenga la nostra indipendenza e promuova i nostri valori.

7) Facciamo più attenzione al framing

Il modo in cui le questioni sono presentate ha spesso più influenza degli argomenti persuasivi sviluppati entro i confini del discorso. Inoltre, forme efficaci di framing, o di cornici di narrazione, possono non sembrare affatto tali ma semplicemente spezzoni di frasi, immagini, slogan e loghi. Ci influenzano senza che ne siamo consapevoli e ci orientano verso idee e questioni che esse promuovono.

8) Equilibriamo la nostra prospettiva temporale

Quando ci facciamo intrappolare in un presente dilatato possiamo essere indotti a fare cose che non sono realmente quelle in cui crediamo. Il fatto di vivere una condizione che non ha una scadenza e che viene diluita passo dopo passo, aumenta la dilatazione. Possiamo resistere se abbiamo abbastanza consapevolezza di uno schema temporale passato che contiene i nostri valori personali e dove fatti e situazioni si sono già svolti e rappresentano esempi per apprendere. Sviluppando una prospettiva temporale equilibrata, in cui sia possibile attivare passato, presente e futuro a seconda della situazione e del compito attuale, potremo agire più responsabilmente e saggiamente.

Sono accaduti fatti simili nella storia? Cosa è accaduto alla società quando ci si è coperti gli occhi davanti alle prime manifestazioni di odio e discriminazione tra i cittadini? Come ha fatto l’essere umano a contrastare l’ingiustizia e la disuguaglianza fino ad oggi?

9) Non sacrifichiamo le libertà personali o civili all’illusione della sicurezza

Il bisogno di sicurezza è un potente determinante del comportamento umano.  Nella maggior parte dei casi gli spacciatori di influenza acquisiscono potere su di noi offrendoci un patto faustiano: sarai al sicuro se cederai un po’ della tua libertà, personale o civile, a quella autorità. Occorre rifiutare il baratto, non sacrificare mai la libertà personale in cambio della promessa di sicurezza perché i sacrifici sono effettivi e immediati e la sicurezza è una remota illusione. Nel nostro caso, nemmeno convalidata dalla nuova religione comune: la scienza.

10) Contrastiamo i sistemi ingiusti      

Le persone vacillano di fronte alla forza dei sistemi descritti, ma la resistenza individuale coniugata con quella di altri che condividono lo stesso atteggiamento e la stessa determinazione può fare la differenza. Resistere può significare allontanarsi fisicamente da una situazione influenzante e controllante, può significare sfidare il pensiero di gruppo ed essere in grado di documentare tutte le accuse di atti illeciti, oppure ottenere l’aiuto di altri. Il sistema può ridefinire l’opposizione individuale come un’allucinazione, sostenere che due oppositori condividono una follia a due, ma con tre persone al nostro fianco sarà impossibile non tenere conto delle nostre idee.

Puoi scaricare QUI il vademecum psicologico contro l’odio, proprio e altrui.

 

  1. Laborit, Elogio della fuga, Mondadori, Milano, ed. 2017.
  2. Zimbardo, L’effetto Lucifero – cattivi si diventa? Raffaello Cortina Editore, Milano, ed. 2007.
  3. Milgram, Obbedienza all’autorità. Uno sguardo sperimentale, Einaudi, Torino, ed. 2003.
  4. Zimbardo, L’effetto Lucifero – cattivi si diventa? Raffaello Cortina Editore, Milano, ed. 2007.
  5. Osservatorio Psi – Osservatorio indipendente sulla salute e sul benessere mentale | https://comunicatopsi.org/osservatorio-indipendente-salute-benessere-mentale/